Quel “Non c’entra la mafia” del Magnifico Rettore

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“Lunedì 23 Marzo 2015, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali si svolgerà una conferenza per ricordare le vittime della Mafia nella quale sarà presentato il libro “La Mafia di Carta” del Prof. Tino Vittorio, accompagnato da interventi di autorità e istituzioni impegnate nel contrasto al crimine organizzato.

L’evento curato dai giovani di Azione Universitaria di Scienze Politiche è chiamato “Il Domani appartiene a noi” per ribadire che sono tanti i giovani stanchi del malaffare e di quella criminalità che ha così notevolmente danneggiato la nostra terra siciliana.

I relatori saranno: On.Nello Musumeci – Presidente della Commissione Antimafia; On. Burtone;

On.Catanoso ; Rettore Prof. Pignataro. Modera Campo Morena. Evento organizzato da Azione Universitaria”.

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“La mafia di carta” di Tino Vittorio uscì poco tempo dopo l’assassinio di Giuseppe Fava. A proposito di esso un innominato mafoso protagonista del libro sostiene che:

“ Non c’entra la mafia. Donne, gioco per quel che ne posso intuire. La mafia non fa sgrusciu, non fa rumore. Se bisogna ammazzare qualcuno, tra pistola e corda, si opta per la corda”.

La tesi dell’omicidio “non di mafia” veniva portata avanti, nello stesso periodo, con tutti i mezzi in possesso dell’establishment catanese, in testa “La Sicilia” di Mario Ciancio, attualmente indagato per collusioni con mafiosi. A Catania, secondo i poteri politici, economici e anche accademici, la mafia “non esisteva”. Tesi ovviamente smentita non solo dalle numerosissime inchieste dei “Siciliani” prima e dopo l’assassinio di Fava, ma dalle risultanze giudiziarie. Fava fu assassinato dai poteri mafiosi per il suo impegno giornalistico contro di essi, e il “Non c’entra la mafia” del libro è – nel migliore dei casi – arbitrario e fuorviante.

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Su questo atteggiamento omertoso dell’establishment, di cui il libro di Vittorio può essere considerato esemplare, ho scritto molte volte. il 4 marzo 2012, sul “Fatto Quotidiano”, commemorando un vecchio amico magistrato, scrivevo che

“…ebbe la dignità e il coraggio – che mancarono alla maggior parte dei magistrati catanesi – di spezzare il cerchio della calunnia e dell’omertà. A quel tempo, non solo imprenditori in rapporto con Ciancio e giornalisti come Zermo ma anche “intellettuali” colonne dell’università negavano la matrice mafiosa dell’assassinio, o sulle colonne de “La Sicilia” o con appositi libri (La mafia di carta di Tino Vittorio)”.

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Queste righe mi son valse, nè me ne dolgo, una querela del Vittorio, cui deciderà a tempo e modo il Magistrato. Nel frattempo, la mia opinione, condivisa dalla totalità dei catanesi civili, è che il libro “Mafia di carta” contenga quanto meno una evidente e precisa falsità, quel “Non c’entra la mafia”.

Questa falsità viene oggi coonestata, publicamente e ufficialmente e nella sede stessa dell’Ateneo, dalla massima autorità accademica, il Rettore (nominalmente “progressista”) Pignataro.

Decenni dopo l’assassinio di Fava e le calunnie sparse sulla sua morte, il Vittorio viene pubblicamente onorato dalla presenza di politici e autorità, fra cui il presidente della Commissione antimafia siciliana. Costui è quel Musumeci che, all’indomani della scoperta di discutibili personaggi sedicenti antimafiosi (denunciati proprio sulle pagine dei “Siciliani”) colse la palla al balzo per proporre di mettere senz’altro all’asta i beni confiscati alla mafia, e cioè in buona sostanza di darli ai massimi imprenditori siciliani.

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“I Siciliani” continueranno a lottare contro la mafia, in toga o in coppola, e a smascherare l’”antimafia” fasulla, come sempre è stato. Ciò costerà – come sempre è stato – sacrifici durissimi per i giornalisti che ci lavorano, compresi i tanti giovani che, oramai da decenni, crescono da giornalisti e da cittadini sotto questa bandiera. Noi non chiediamo solidarietà nè protestiamo: nè i Fava, nè i D’Urso nè gli Scidà ne hanno mai avuta dai potenti di questa città, nè saremo noi a pretenderla. Osserviamo soltanto, amemoria di tempi più civili, che ancora una volta l’Università catanese si schiera per l’omertà e contro le vittime; e non si fa onore. “Forsan haec olim meminisse iuvabit”.

Da isiciliani.it


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