I socialisti si confermano prima forza malgrado 30 anni di governo locale. Podemos entra con forza ma con un risultato minore a quanto sperato per il primo appuntamento elettorale dopo le europee. Il Pp affonda e inizia a pagare nelle urne gli scandali di corruzione, travolgendo la rinnovata dirigenza andalusa ma suonando il campanello d’allarme anche per il capo del governo Mariano Rajoy. Buon risultato di Ciudadanos (9,28%; 9 seggi; quasi 369mila voti), formazione nata nel centrosinistra antinazionalista catalano che si trova a raccogliere molti voti di delusi del Pp. Izquierda Unida (Iu) crolla in una delle sue roccaforti e, a differenza dei socialisti, non riesce a arginare il travaso di voti verso Podemos.
Questo il riassunto per titoli, ognuno dei quali merita un approfondimento, anche per illuminare l’evoluzione nazionale dello scenario politico spagnolo, mai come ora in un profondo sommovimento.
I socialisti hanno perso voti assoluti e punti percentuali ma ritornano primo partito e il risultato viene accolto come un trionfo – e lo è certamente per Susana Diaz, la presidente andalusa riconfermata nell’incarico. Con 1.409.042 voti, il 35,43%, conferma i suoi 47 deputati, adesso però molto più “pesanti”. L’unica alternativa al suo governo sarebbe una impossibile coalizione tra Pp e Podemos, il che le fa ipotizzare anche un governo solitario di minoranza. Dalla sua fortezza la Diaz consolida la sua leadership nazionale e sapremo presto se deciderà di lanciarsi alla caccia della candidatura socialista già alle prossime politiche, o se rimanderà al prossimo giro per dedicarsi nel mentre alla conquista del partito. Naturalmente anche il segretario nazionale Pedro Sánchez incassa di riflesso il successo della compagna di partito e potenziale rivale, il suo Psoe può intestarsi una parte del successo. Poi per futuro si vedrà, al Psoe stanno imparando a navigare a vista, che almeno è un ricominciare a navigare.
Podemos si consolida in quella che è la prima sfida elettorale dopo il debutto europeo. Triplica i voti di allora, conquista il capoluogo Cadice e ottiene ovunque una ottima affermazione. Alcuni commentatori, con misurata ostilità, sottolineano la delusione del passaggio dai sondaggi alla realtà – sono arrivati 15 deputati mentre i sondaggi ne auspicavano fino a 20. I più attenti lettori delle intenzioni di voto avevano però messo in guardia da facili entusiasmi: nel granaio di voti del Psoe, in una regione che aveva messo in campo politiche anticrisi tra le più massicce delle autonomie spagnole, sarebbe stato molto più difficile erodere i voti socialisti rispetto ai centri governati da destre o nazionalisti all’insegna dei tagli al welfare. Così è stato e adesso il partito entra nel Parlamento come terza forza e si metterà alla prova sulla sua capacità di fare politica, di influire sull’agenda, di rappresentare nelle istituzioni le istanze dei suoi quasi 600mila voti, che rappresentano il 14.84% degli elettori. La forte strutturazione di partito, seppur di derivazione movimentista, aperto, fondato sulla partecipazione, anche attraverso forme innovative, e lo stretto legame con movimenti e lotte sociali, costituisce un laboratorio politico solido che affronta una sfida importante e che sta già cambiando la politica spagnola.
Per il Pp non si può parlare che di crollo. Nel 2012 con più di un milione e mezzo di voti fu primo partito, con oltre il 40% e 50 deputati, costringendo i socialisti alla coalizione con Izquierda unida. Ora, malgrado il rinnovamento delle facce e un Psoe eternamente al governo e che era stato coinvolto in qualche scandalo di media entità, Il Pp perde mezzo milione di voti e non arriva al 27% con 33 deputati, pagando gli scandali nazionali del Pp. E infatti a Madrid le reazioni sono molto tese. Alla riunione del Comitato esecutivo per l’analisi del voto molti dirigenti hanno chiesto di analizzare il segnale dato dagli elettori. Sono mosse contro la segreteria di Rajoy, ma la debolezza del Pp è negli scandali che riguardano tutto il partito, coinvolto nella pratica di gestione di fondi occulti e di distribuzione di regolari retribuzioni in nero alla dirigenza nel corso degli ultimi venti anni. Vicende che cominciano a allontanare gli elettori più moderati, quelli che a seconda dei momenti e dei candidati si sono alternati nel votare i due maggiori partiti, che adesso hanno anche l’opzione di Ciudadanos, verso il quale pare sia andata una buona parte del 9 per cento di voti perduti rispetto al 2012.
Ciudadanos è un’altra anomalia della politica spagnola. E’ una formazione nata in Catalogna come espressione del malessere dell’elettorato socialista rispetto all’inasprirsi del nazionalismo locale e al suo progressivo imporsi nel Partito socialista catalano. Non potendo trovare rappresentanza nell’altra reazione ai nazionalismi locali proveniente dalla sinistra, quello della ex socialista Rosa Díez, presto scivolato verso un nazionalismo castigliano-centralista, si è strutturato come lista locale. Col tempo e con la diffusione fuori dalla Catalogna, Ciudadanos ha intercettato elettori popolari “di confine”, moderati, liberali, che hanno magari a volte votato socialista. Un elettorato rappresentativo del panorama bipartitico evoluto, che in situazioni locali o in alcuni temi non si sente più rappresentato dai due maggiori partiti, al quale la frammentazione attuale del panorama politico spagnolo offre per la prima volta alternative di voto. Ciudadanos si rifà alla socialdemocrazia europea nella sua forma più moderata e liberale, fa propria la concezione dei diritti civili di cittadinanza di Zapatero, accoglie e pratica il bilinguismo ma non vuole andare verso l’indipendenza ed è contro gli opposti nazionalismi e si trova ora a erodere i voti dei popolari e non più solo degli elettori socialisti scettici verso il nazionalismo.
Su Izquierda unida, infine, c’è poco da dire. Passa da 11 a 5 deputati, dall’11,3 al 6,9%, da 472mila voti a 273mila. L’emorragia di voti verso Podemos appare inarrestabile, la nuova formazione spinge Iu verso i settori estremi preparandole un futuro da formazione ultraminoritaria e testimoniale, pronta a essere conquistata da reducismi irriducibili. Una perdita di senso dal quale per ora la lista non sembra essere in grado di uscire, forse perché l’uscita non c’è.
Per quanto locali, le elezioni andaluse danno delle indicazioni nazionali importanti e confermano la rivoluzione in atto nella politica spagnola. Podemos è arrivato per restare e la sua presenza costringe tutta la sinistra a ridefinirsi politicamente. I socialisti sembrano riuscire a trovare una chiave, mentre Iu no, ma l’Andalusia non è tutta la Spagna e altrove sarà più dura, anche perché non c’è una Diaz a mettere il peso della sua forza e credibilità personale. Fra i popolari si agita lo spettro del conto da pagare nelle urne per gli scandali. Gli elettori, sempre indulgenti per la corruzione nelle loro file e pronti invece a punire severamente la sinistra per ogni reale o presunta irregolarità, sembrano aver cambiato l’approccio. Un’altra conseguenza dell’irruzione di Podemos sulla scena politica spagnola che ha scatenato una ricomposizione del quadro politico senza precedenti. Un’irruzione a sua volta conseguente alla crisi della Spagna delle autonomie, il sistema che ha portato il paese dalla dittatura alla democrazia e alla modernità, non più adeguato alle sfide contemporanee, che in Spagna ha trovato una risposta partecipativa e non antipolitica nelle esperienze degli Indignados e del 15M. Un sommovimento che ha liberato spazi di consenso in tutto il quadro politico e che per ora riguarda soprattutto i partiti storici, ma il cui impatto si misurerà presto anche sui nazionalismi catalano e basco, di destra e di sinistra.