Dimenticare o ricordare? Ho letto molto spesso, sui giornali, quanto sia importante la memoria. Ma questo 2015 non si è dimostrato sin qui rorido di ricordi per i martiri libanesi. E sì che di martirio in questi tempi se ne parla, ma dei martiri libanesi uccisi per strada a Beirut, nel 2005, dieci anni fa, sotto i nostri occhi, non negli anfratti ridotti a inferi terreni del Califfato nero, ma tra vetrine di grandi marche e affollati caffè, non c’è traccia nella nostra memoria. Non c’è traccia di Georges Hawi, comunista e di famiglia cristiana, non c’è traccia di Samir Kassir, progressista e di famiglia cristiana, non c’è traccia di Pierre Gemayyel, liberale e di famiglia cristiana, non c’è traccia di Gebran Tueni, editore e di famiglia cristiana, non c’è traccia di Antoine Ghanem, deputato anche lui di famiglia cristiana. Ovviamente lo stesso vale per il deputato sunnita Aido. Questo sangue, come quello di Rafiq Hariri e di altri 22 esseri umani che viaggiavano con lui, ucciso per primo per le strade di Beirut, l’ex premier sunnita, non suscita riflessioni neanche dieci anni dopo. Né quello cristiano né quello musulmano, sangue dieci anni fa versato per un’idea, quella del vivere insieme.
Dimenticare o ricordare? Forse il punto è che ricordare questi martiri arabi della libertà, della democrazia, è scomodo, ci obbligherebbe ad andare al di là della conta tra “noi” e “loro”. E già, ma chi siamo “noi”? E chi sono “loro”? Dove collocare le vittime gassate alla periferia di Damasco? Con “loro”? O con “noi”? E quei criminali che hanno sparato a Beirut, dieci anni fa? Cosa volevano? Cinque di loro sono rinviati a giudizio dal Tribunale Internazionale, sappiamo chi sono, chi li teleguidava. Eppure. Eppure il sangue di quei cittadini arabi, cristiani scesi in strada con i loro fratelli musulmani, è finito nel dimenticatoio.