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L’Africa giudica i suoi dittatori, il Ciad e una donna coraggiosa

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[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Zahra Moloa pubblicato su Pambazuka News]

JACQUELINE MOUDEINA: Mi chiamo Jacqueline Moudeina, sono un avvocato riconosciuto dall’ordine degli avvocati del Ciad, e sono presidente dell’Associazione del Ciad per la Promozione e la Difesa dei Diritti Umani [Chadian Association for the Promotion and Defense of Human Rights, ATPDH] un’organizzazione che, attraverso il proprio lavoro, ha scelto di lottare contro l’impunità. È stata proprio questa lotta che mi ha spinto a usare la mia professione per difendere le vittime dell’ex presidente del Ciad.

ZAHRA MOLOA: Può fornire un po’ di contesto riguardo al regime dell’ex presidente?

JM: Hissène Habrè, l’ex presidente del Ciad, è stato al potere dal 7 giugno del 1982 al 1 dicembre del 1990, otto anni. Anni di terrore, in cui tutta la popolazione del Ciad aveva paura persino della propria ombra. Per esempio, all’interno di una coppia, il marito temeva la propria moglie e viceversa, ed entrambi temevano i propri figli.
Soltanto pronunciando una frase si poteva mettere a rischio la propria vita. Il regime di Hissène Habrè era un regime di terrore, e quando, il 1 dicembre del 1990, ha lasciato il potere – conseguenza ad un colpo di Stato compiuto dall’attuale presidente Idriss Déby Itno – ed è stato introdotto il nuovo Governo, sono state ordinate alcune indagini. Il risultato del rapporto terminato nel 1992 ha concluso che durante il regime di Habrè sono stati uccisi 40.000 civili e alcune migliaia sono scomparsi oppure diventati vedovi o orfani. Nell’indagine però non è stato compreso tutto il Paese, i risultati derivavano da alcuni campioni che ci hanno concesso di mettere insieme la cifra di cui parlo.

Sotto il regime di Hissène Habrè, sono state perpetuate violazioni gravi e continue dei diritti umani, in ogni parte del Paese. Nessuno è stato risparmiato. Sono stati tempi molto difficili. Per esempio, nel 1984, Hissène Habrè aveva preso di mira il gruppo etnico Sara. Questo periodo, chiamato il Settembre Nero, ha visto interi villaggi rasi al suolo e gli abitanti massacrati. Nel 1986 e nel 1987 è stato il turno di un altro gruppo etnico, gli Hadjarai, nel 1990 gli Zaghawa, il gruppo entico a cui appartiene l’attuale presidente del Ciad. Questo perché l’attuale presidente, che in pratica era il braccio destro di Hisséne Habrè, a capo del suo staff, ha avviato una rivolta. Così, nel 1990 Hissénè Habrè ha iniziato a giustiziare l’intero gruppo etnico dell’attuale presidente. Sono stati periodi molto difficili e ci sono state violazioni dei diritti umani frequenti e diffuse. Ecco perché abbiamo deciso di perseguire Hissené Habrè e i suoi complici. L’ex presidente è perseguito a livello internazionale e nel Ciad, e lo stiamo facendo anche con i suoi complici che sono stati integrati nell’attuale sistema politico, e che ricoprono ancora ruoli di responsabilità.

ZM: È più semplice prendere di mira Habrè piuttosto che i suoi complici nel Senegal? Lei ha avuto esperienze con il governo senegalese mentre lavorava su questo caso. Può raccontarci di questo procedimento?

JM: Come sa, le azioni legali che sono state avviate contro Hisséne Habrè sono iniziate nel febbraio del 2000. Abbiamo presentato la nostra prima denuncia nel febbraio del 2000 e Hisséne Habrè è stato accusato, ma dopo alcuni cavilli giuridici – perché non si trattava solamente di un caso legale, ma anche di natura fortemente politica – il sistema giudiziario senegalese è stato dichiarato incompetente su questo caso. Allora ci siamo recati in Belgio, approfittando della legge belga sulla giurisdizione universale. Appena siamo arrivati, il giudice istruttore ci ha ricevuto e ha accolto il nostro caso. Dopo quattro anni, il giudice istruttore belga ha accusato Hissène Habrè di tre maggiori crimini internazionali: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e reato di tortura. Allo stesso tempo, ha emanato un mandato di arresto internazionale per Hissène Habrè, che ha concesso al Belgio di chiederne l’estradizione per esservi poi giudicato. Sfortunatamente, l’ex presidente senegalese, Abdoulaye Wade, ha negato l’estradizione, e ha preferito presentare il nostro caso ad un tribunale africano, e per questo motivo ha inviato la nostra documentazione all’Unione Africana.

Concorderà con me che l’Unione Africana non è un’autorità legale. Tuttavia, si è presa carico del nostro caso per affidarlo ad un gruppo di eminenti giuristi. Infine, l’unica opzione che rimaneva – dato che i capi di Stato africani avevano affermato che nessuno di loro poteva essere giudicato dai “bianchi”, questo esattamente il termine usato – era quella di andare avanti con l’alternativa africana. Eminenti giuristi, a cui è stato affidato il nostro caso, hanno suggerito che doveva essere rinviato in Senegal, e così è stato. Il presidente Wade però non voleva che Habrè fosse processato, e non si è trattato solamente del suo parere contrario. A capo dell’Unione Africana c’è un associazione di capi di Stato, e dato che giudicare Hissène Habrè avrebbe creato un precedente, nessuno voleva che accadesse perché vedevano il loro destino rispecchiato in questo caso. Le cose sono andate avanti solamente quando è giunto al potere l’attuale presidente del Senegal, Macky Sall, che ha abbracciato l’idea della nostra battaglia contro l’impunità. Così, il Senegal ha aperto le trattative con l’Unione Africana arrivando ad un accordo che ha portato alla creazione delle Camere Africane Straordinarie (Extraordinary African Chambers, EAC) all’interno della giurisdizione senegalese, per giudicare Hisséne Habrè. Questo è quello che è successo, e le EAC sono diventate operative dal 2013.

ZM: Come avete raccolto le testimonianze delle vittime del regime di Hisséne Habrè – è stato difficile?

JM: Sto lavorando a questo caso dal 1998, ormai da 16 anni. Una delle prime cose che ho fatto è stata quella di raccogliere informazioni. Ho lavorato molto insieme alle vittime. Oggi sto eseguendo una valutazione – ci sono state circa 7.000 vittime, dirette e indirette. Quindi sono in possesso di molte informazioni. Siamo riusciti ad accedere agli archivi degli organismi di Governo, delle documentazioni e della sicurezza sotto il regime di Hisséne Habrè. Questi archivi ci hanno fornito molte informazioni e ci hanno concesso di costruire una documentazione solida. Quindi di informazioni e notizie ne abbiamo abbastanza.

ZM: Durante il 2000, quando avete presentato la documentazione, lei è stata l’unico avvocato che ha voluto assumersene il rischio. Ha subìto  minacce in questi anni?

JM: Sì. Praticamente ero l’unico avvocato e il motivo principale è stato che non avevamo abbastanza denaro. Nessun avvocato può lavorare senza denaro. Ho deciso di lavorare a titolo di volontariato e nel 2001, l’11 giugno per essere precisa, sono stata vittima di una granata. Questo attacco mi è quasi costato la vita, ma grazie a Dio ne sono uscita viva, sebbene la mia gamba destra sia completamente deturpata. Sono dovuta rimanere a letto per 15 mesi. Oggi soffro ancora di alcuni effetti collaterali perché nel mio corpo ci sono ancora frammenti di quella granata. Il mio piede destro è stato operato quattro volte. L’anno scorso mi hanno rubato l’auto sotto la minaccia di armi e la mia macchina è stata distrutta, ma grazie a Dio ancora una volta sono sopravvissuta. Mi ritrovo spesso sotto minaccia. Dalla creazione delle Camere, però, altri avvocati si sono uniti a me – due del Ciad e dall’inizio un avvocato belga, uno francese e uno senegalese. Tuttavia loro non sono esposti come me perché la cosa più difficile è convivere con gli ex responsabili in Ciad.

ZM: Il procedimento ha una copertura mediatica?

JM: Come sa questo è difficile vedere il caso coperto dai media. Gli ex responsabili occupano ancora posizioni di potere. Far arrivare il messaggio ai media è abbastanza arduo, ma abbiamo tentato di aumentare la consapevolezza attraverso conferenze, dibattiti, conferenze stampa per informare la popolazione del Ciad. Da quando sono state create le Camere e i giudici hanno iniziato a lavorare, credo che il Governo stia aprendo lentamente le proprie porte, e ci permetterà di trasmettere le informazioni ad un gruppo di persone più ampio. Facciamo il possibile per tenere informata la popolazione, perché non si tratta solamente della soddisfazione che deriva dal perseguire Hissène Habrè e i suoi complici. Vogliamo risolvere un problema attraverso questo procedimento, ossia riconciliare la popolazione, così che potremo porre le basi per una pace sostenibile nel Ciad. Il Ciad ha vissuto un periodo di 30 anni di guerra, ed è abbastanza difficile oggigiorno avere una pace duratura. Crediamo che indagare e giudicare Hisséne Habrè e i suoi complici, giudicando anche il loro regime, potremo raggiungere la riconciliazione tra la popolazione del Ciad.

ZM: Vorrei farle una domanda personale. Perché ha iniziato questo lavoro – quale è stata la sua motivazione?

JM: Odio l’ingiustizia. Sono rimasta orfana quando ero molto piccola, e questo significa che ho dovuto combattere per me stessa durante tutta la mia vita. Non ho avuto una vera e propria infanzia. Quando ho visto quello che accadeva sotto il regime di Hisséne Habrè, mi sono detta che tutti quegli orfani stavano vivendo la mia stessa realtà. Non è semplice per un bambino non avere né padre né madre e crescere da solo. Queste persone era come se non avessero una voce. Ma io ho avuto la possibilità di studiare, di arrivare dove sono adesso, e quindi posso prestare la mia voce a coloro che non ce l’hanno. E posso combattere per i loro diritti.

ZM: Quando guarda la situazione nel resto del continente, quando vede che l’impunità è così diffusa in molti Paesi – ha la speranza che questo procedimento terminerà con un risultato positivo?

JM: Il quotidiano francese Le Monde lo ha scritto nel modo migliore. Quando le Camere Africane Straordinarie sono state create, e quando Hisséne Habrè è stato arrestato, su Le Monde è apparso un articolo intitolato “Azione legale contro Hisséne Habrè: Una svolta decisiva per l’Africa“. Sarà veramente una svolta decisiva per l’Africa. Questo caso non appartiene solamente al Ciad, ma se riusciremo a giudicare Hisséne Habrè oggi, sarà stata l’Africa stessa a giudicare l’Africa. Se questo avverrà, dopo sarei sorpresa di vedere un leader africano derubare e uccidere la popolazione senza provare un po’ di preoccupazione. Si tratta davvero di una svolta decisiva per l’Africa, e di una base per la lotta contro l’impunità in Africa. L’Africa potrà andare a testa alta. Quindi non si tratta solamente del caso del Ciad, ma africano, e perché non perfino globale?

[È di questi giorni la notizia che, sciolti nodi giuridici e di relazioni tra gli Stati,  il processo nei confronti di Habrè comincierà la prossima estate in Senegal e sarà condotto dalle Camere Africane Straordinarie. È la prima volta nella storia che un capo di Stato africano sarà giudicato in Africa]

Jacqueline Moudeina è un avvocato chadiano e presidente dell’Associazione chadiana per la promozione e la difesa dei diritti umani (ATPDH). Nel 2011 è stata insignita del Premio al Corretto Sostentamento (Right Livelihood Award). Moudeina è impegnata da anni per ottenere giustizia per i sopravvissuti vittime del regime di terrore dell’ex presidente del Chad, Hissène Habré.

Da vociglobali.it


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