La riforma costituzionale proposta e sostenuta dal Governo è passata alla Camera dei deputati con 357 voti favorevoli (pari al 56,6%) degli aventi diritto. Tra i contraenti del “Patto del Nazareno”, da cui tutto questo trae origine, Forza Italia si è espressa in senso contrario, pur con qualche dissenso, mentre il Pd è rimasto compatto a favore, con sole quattro eccezioni: Civati, Boccia, Fassina e Pastorino. Molti di coloro che hanno votato la riforma – soprattutto nel Partito democratico – continuano a sostenere che questa presenta seri limiti e che sarà necessario modificarla.
Si tratta di una posizione davvero difficile da comprendere: normalmente chi non è favorevole, non esprime, infatti, un voto favorevole. È una questione di semplice coerenza, che la Costituzione richiede anche prevedendo il divieto di mandato imperativo, per salvaguardare la scelta del parlamentare secondo il proprio libero convincimento.
Per di più, quanto alla possibilità di cambiare il contenuto della riforma, ammesso che questa posizione venga mantenuta, deve considerarsi che le possibilità si assottigliano ad ogni passaggio. Infatti, la Camera dei deputati ha modificato soltanto marginalmente il testo trasmessole dal Senato, il cui regolamento, all’articolo 104, prevede che «se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera, salva la votazione finale. Nuovi emendamenti possono essere presi in considerazione solo se si trovino in diretta correlazione con gli emendamenti introdotti dalla Camera dei deputati».
Gli aspetti su cui il Senato potrà tornare perché modificate dalla Camera non sembrano molti, né particolarmente centrali. Forse qualcosa in più potrebbe farsi attraverso alcuni emendamenti aggiuntivi, anche in sede di disposizioni transitorie, ma sembra comunque difficile incidere, soprattutto a regime, sulle questioni più delicate e caratterizzanti. Pensiamo, ad esempio, alla partecipazione dei cittadini, alla semplificazione del procedimento legislativo (che finisce per divenire più complesso) e alla coerenza tra riforma delle Camere e del titolo V (su cui si è caduti in aperta contraddizione).
La mancanza di una discussione approfondita e serena (cioè non scandita da contingentamenti e sedute fiume) sta restringendo sempre di più le possibilità di modifica da parte dei parlamentari, che rischiano di trovarsi presto costretti tra un voto favorevole o contrario del complesso del testo, secondo quanto previsto per la seconda lettura dai regolamenti di entrambe le Camere. Come poco potranno fare i cittadini quando saranno eventualmente chiamati a esprimersi nel referendum costituzionale nel quale potranno soltanto prendere o lasciare il testo che le Camere hanno approvato.
Si tratterà, in sostanza, di scegliere tra una riforma costituzionale che rischia di rendere il funzionamento delle istituzioni (e soprattutto del Parlamento) ancora più complesso, contorto e incoerente e il mantenimento del testo vigente, che, pur avendo dato complessivamente buona prova di sé (a differenza di quanto abbiano fatto le forze politiche), richiederebbe di essere alleggerito nel numero dei parlamentari e di essere reso più efficace nell’assunzione delle decisioni e nel controllo del Governo da parte del Parlamento, oltre che a favorire meglio la partecipazione dei cittadini.
In definitiva, in ogni caso, sembra che anche questa legislatura sia destinata a perdere l’occasione per una buona riforma costituzionale.