Si è concluso solo questa mattina presto il drammatico attacco terroristico all’Hotel Maka al Mukarama di Mogadiscio che era cominciato ieri pomeriggio. Due autobomba sono state fatte esplodere sull’ingresso principale dell’albergo che affaccia a metà della strada che collega Villa Somalia – la sede delle istituzioni somale – all’aeroporto, quella appena riasfaltata dalla Turchia che costituisce il cuore commerciale della capitale e rappresenta la zona più sicura di Mogadiscio. Ma le autobomba erano solo un diversivo perché il commando vero e proprio, formato da una decina di mujahidin travestito da militari somali, è entrato nell’edifico dalla porta posteriore armato di mitra e granate.
L’hotel era gremito all’ora di pranzo da politici, uomini d’affari ed esponenti della società civile. C’erano diversi convegni in atto e si attendeva l’arrivo di cinque ministri per una riunione. I terroristi hanno sparato all’impazzata contro tutto e tutti. L’Ambasciatore Yusuf Mohamed Ismail, detto Bari-Bari, è stato fra i primi ad essere colpito ed è corso a rifugiarsi ai piani superiori. Lungo le scale è stato raggiunto da un’altra pallottola allo stomaco e da un’altra ancora ad un braccio. Ma era lucido e da una stanza in cui si era rifugiato ha usato il suo telefonino per chiedere aiuto. Tra i primi ha chiamato Radio Shabelle, la radio che il Governo somalo ha chiuso di imperio per tre volte nell’ultimo anno ed il cui ultimo redattore in carcere è stato liberato appena qualche giorno fa sotto cauzione. L’Ambasciatore ha chiamato anche l’ufficio del Primo Ministro da cui è partito l’ordine ad Ali Mire, capo delle truppe speciali Alfa Group, di salvarlo ma il comandante si è rifiutato. I terroristi avevano distrutto le scale tra il primo ed il secondo piano, dove si era rifugiato l’Ambasciatore, e si erano asserragliati al terzo piano con diversi ostaggi. Dall’ufficio del Primo Ministro è partito allora uno staff delle sue guardie del corpo, i Berretti Rossi, che durante le sparatorie tra Alpha Group e terroristi è riuscito a salire con una scala esterna fino alla finestra della stanza in cui l’Ambasciatore si era rifugiato portandolo in salvo con un’imbragatura. Ma era troppo tardi. Durante l’agonia Bari-Bari è riuscito anche a chiamare la moglie in Svizzera chiedendole di essere sepolto a Garowe, la capitale del Puntland, nella tomba di famiglia. Yusuf Mohamed Ismail, però, era nato a Roma 57 anni fa e si era laureato a Bologna nella facoltà di scienze politiche. Dopo l’attività di giornalista era tornato in Somalia rivestendo diversi incarichi prestigiosi come quello di portavoce del penultimo Presidente della transizione Abdullahi Yusuf Ahmed. Fu proprio quest’ultimo a nominarlo Ambasciatore presso l’ONU di Ginevra nel 2008. Nel ruolo si è distinto come uno dei più attivi presentando nove risoluzioni quasi tutte in tema di diritti umani tra cui spicca quella contro le persecuzioni degli albini africani, mutilati e spesso uccisi perché una credenza ritiene che da pozioni create bollendo i loro arti derivino buoni auspici per gli affari economici e politici. Yusuf Mohamed Ismail aveva detto di essere rimasto insonne per tre giorni dopo aver appreso di quelle atrocità ed il quarto aveva presentato la risoluzione facendola infine approvare dall’ONU.
Non era però amato dal regime di Damul Jadid che governa a Mogadiscio. Almeno sei volte gli era stato rifiutato l’ingresso a Villa Somalia e per due anni gli sono stati negati i fondi per la sua ambasciata a Ginevra.
La sua grave perdita non è colpa solo dei jihadisti, ma è figlia anche dell’insubordinazione all’ordine del Primo Ministro da parte del capo delle operazioni militari.
A Mogadiscio Damul Jadid ha ribaltato le gerarchie istituzionali. Un capo militare può rifiutarsi di obbedire alle richieste del Primo Ministro, sebbene ieri fosse l’unica istituzione nella capitale essendo all’estero il Presidente Mohamud, il Ministro per la Sicurezza Abdirizaq ed il Capo dell’intelligence Turyare.
L’accaduto significa che i militari sono sciolti dal potere politico e rispondono ad altri poteri. Non escluso quello clanico perché a Mogadiscio l’ordine è affidato ad un solo clan così come l’intero apparato burocratico (altro che 4,5!!!) . E non è il clan cui apparteneva Yusuf Mohamed Ismail, né quello del Primo Ministro, entrambi originari del Puntland. Però l’Ambasciatore somalo a Berlino Tifow, anch’egli ferito nell’attentato, è stato salvato dall’Alpha Group. Se a Mogadiscio anche i soccorsi dei feriti seguono le divisioni claniche, le speranze in una Somalia normale si spengono del tutto.
I genitori di Yusuf Mohamed Ismail si erano trasferiti in Italia contro la dittatura di Siad Barre. La sorella Maryan Ismail vive oggi a Milano ed è attiva nelle politiche femminili del PD.
Nell’attentato all’Hotel Maka al Mukarama, oltre a Bari-Bari sono morte, secondo il Governo, altre diciotto persone tra cui la somalo-americana Farhia Bashir Nur, advisor del Ministero dell’economia e della Banca Centrale somala. Una trentina sono i feriti. Durante la notte i terroristi hanno ucciso diversi ostaggi uno a uno per poi gettarli da un balcone. Questa mattina una cinquantina di ostaggi, tra ospiti e dipendenti dell’albergo, sono stati liberati.
Ali Mohamud Raage, portavoce degli Al Shabab, ha dichiarato che metà degli attentatori è riuscita a fuggire e sono pronti per nuovi terribili attentati.