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La favola della «lotta al terrorismo»

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È ormai evidente – anche agli ottimisti più irriducibili – che le speranze suscitate in tutto il mondo dalle cosiddette primavere arabe sono rimaste del tutto disattese. Piuttosto, oggi assistiamo a una rigogliosa «primavera jihadista», che spiana la strada alla realizzazione del progetto statunitense di egemonia sul Medio Oriente.

di Mostafa El Ayoubi

Il mondo arabo continua a non trovare pace. Il linguaggio delle armi, con tutto ciò che comporta in termini di ingenti perdite di vite umane, di instabilità politica, sociale ed economica, è quello che la fa da padrone in Paesi come l’Iraq, la Siria e la Libia. La repressione è il sistema più consono ai regimi che «governano» Paesi come il Bahrein e l’Egitto. E lo Yemen – da tanti anni oggetto di operazioni militari americane mediante i droni, lontano dai riflettori dei media – versa oggi nel caos totale: dopo decenni di sottomissione al regime saudita, Sana’a è passata in mano ai ribelli houthi, sciiti, vicini all’Iran.

A contribuire al permanere e al peggioramento della già grave situazione di instabilità in queste nazioni, sono i regimi arabi settari del Golfo: Arabia Saudita, Qatar e anche Emirati Arabi; Paesi sotto dittatura assoluta, che oltre a perpetrare una forte repressione, all’occorrenza privano i loro oppositori del titolo di cittadinanza! Un oppositore al regime saudita rischia di perdere la sua cittadinanza con tutto ciò che ne consegue: perdita di beni, di diritti ecc. Queste arcaiche monarchie del petrodollaro hanno contribuito in maniera decisiva al dilagare del terrorismo, la cui massima espressione oggi è il famigerato Isis, organizzazione derivante da Al-Qaeda.

Quattro anni fa si evocava una «primavera araba»; si parlava di vento di liberta e democrazia che avrebbe interessato l’intero mondo arabo. Chi ha coniato e diffuso questa novella, oggi non osa più menzionarla. È stata una favola per addormentare le coscienze dell’opinione pubblica, per orchestrare dei cambi di regimi non funzionali agli interessi delle grandi potenze mondiali (alcuni che non lo sono più come l’Egitto, altri che non lo sono mai stati come in Libia e in Siria).

L’espressione forse più azzeccata oggi in questa fase buia della storia del mondo arabo-islamico è «primavera jihadista». Per i jihadisti è una «primavera», un successo, perche oggi occupano parte della Siria, dell’Iraq e della Libia, Paesi una volta governati da regimi laici (non democratici ovviamente, ma d’altronde è un problema che riguarda l’intero mondo arabo). Ma quanto durerà questo successo dei jihadisti? Il tempo necessario per consentire loro di portare a termine la distruzione totale dell’apparato dello Stato, delle sue infrastrutture e del sistema economico produttivo in questi Paesi. In Libia l’operazione è giunta al termine. Affidando questo compito ai jihadisti, gli Usa (con la partecipazione dei loro alleati) sperano di poter appropriarsi della sovranità di quei Paesi. Per il governo americano, i jihadisti sono un efficace strumento per l’attuazione di un piano che consente di trasformare il Medio Oriente in un «protettorato americano» (come afferma Losurdo; vedi la sua intervista a pagina 9) mediante una «guerra per procura». Questa regione è strategica per il gas, il petrolio, l’acqua. E controllarla significa frenare l’espansione geopolitica e geo-economica di potenze regionali come l’Iran e mondiali come la Cina e la Russia (le quali a loro volta mirano a promuovere i propri interessi).

Il marasma in cui vive oggi il mondo arabo ha poco a che fare con le questioni dei diritti umani e della democrazia; quello che è in gioco sono gli interessi geostrategici. Il repubblicano Henry Kissinger, segretario di Stato americano tra 1973 e il 1977, disse una volta: «Se noi dobbiamo scegliere tra i nostri interessi e la democrazia, sceglieremo sempre i nostri interessi». Per la cronaca, Kissinger ebbe un ruolo determinante nel colpo di Stato in Cile che condusse al potere il sanguinario regime di Pinochet.

La strategia moderna per promuovere e consolidare i propri interessi nel Medio Oriente è la «guerra per procura» per destabilizzare i regimi non allineati. Questo compito è stato «appaltato» ai regimi oscurantisti del Golfo in primo luogo. I jihadisti di AlQaeda/Isis non sono altro che la manovalanza alla quale è stata affidata l’esecuzione materiale di questa strategia, di cui gli operai del terrorismo (kamikaze, ecc) non sono nemmeno al corrente!

È ormai un mantra – ma è sempre importante ripeterlo – quello di ricordare che Al-Qaeda (da cui è nato l’Isis) è una creazione dei servizi segreti americani (assieme ai talebani, all’epoca della guerra in Afghanistan). E a metterla in piedi, finanziarla e farla crescere sono stati uomini della famiglia reale saudita, tra i quali il principe Bandar Bin Sultan, ex ambasciatore saudita in Usa ed ex capo dei servizi segreti. Nel 2002 una commissione del Senato americano co-presieduta dal senatore Bob Graham ha prodotto un rapporto sugli attentati dell’11 settembre. Per «ragioni di Stato» il rapporto è stato tenuto segreto da Bush e mantenuto tale da Obama. Questo rapporto parla dell’implicazione dell’Arabia Saudita nella tragedia dell’11 settembre. Il senatore Graham pubblico nel 2008 un libro intitolato «Intelligence matters» in cui parla di un capitolo di 28 pagine del suddetto rapporto, nel quale viene accertato che l’operazione condotta da 19 terroristi (di cui 15 di nazionalità saudita) è stata finanziata principalmente dall’Arabia Saudita, un alleato di prim’ordine della Casa Bianca. Perche i media continuano a sottacere questo fatto importante?

Il regno saudita insieme a quello del Qatar (nonostante le apparenti divergenze politiche tra queste due monarchie) hanno inondato il mondo arabo e una parte dell’Africa subsahariana di jihadisti tafkiristi indottrinati con l’ideologia salafita, la quale predica una visione distorta della religione islamica. Eppure questi Paesi partecipano oggi al bombardamento dei territori iracheni e siriani con l’intento di combattere l’Isis. Com’e possibile combattere il terrorismo al fianco di chi lo crea e lo finanzia? Paradossale! Se è vero che lo si vuole combattere allora bisogna iniziare dall’Arabia Saudita. In realtà con la storiella della «lotta al terrorismo» gli Usa manipolano l’opinione pubblica internazionale costringendola ad accettare provvedimenti drastici: uso necessario della guerra, restrizioni di diritti individuali e collettivi in nome della sicurezza.

L’Isis dilaga oggi in Libia. Questo Paese è stato distrutto dalla Nato e a chiedere l’intervento militare con una risoluzione all’Onu, nel marzo 2011, è stata la Lega araba sotto controllo dei sauditi. A Derna, il Califfato ha già stabilito un suo emirato, a 300 chilometri dalle coste italiane e a 200 chilometri dalle frontiere con l’Egitto. Anche in Libia l’Isis sgozza e commette attentati mortali. Davanti a questa «nuova» minaccia si torna a parlare di un nuovo intervento militare in Libia. A meta dicembre scorso, in occasione di un summit franco-africano, il presidente del Ciad, Idriss Deby Itno, ha affermato che «la risoluzione della crisi in Libia è in mano alla Nato». E in seguito agli attacchi terroristici a Parigi, nel gennaio scorso, il presidente Hollande ha fatto intendere che sia necessario un altro intervento militare in Libia. In questo gioco è entrato ormai anche il regime egiziano di Al Sisi che, dopo lo sgozzamento di massa a danno di 21 dei suoi cittadini copti, ha replicato con raid aerei contro postazioni dei jihadisti in Libia.

L’Egitto, che ha sognato quattro anni fa la liberta e la democrazia, è oggi sotto tutela dell’Arabia Saudita. A meta febbraio, Al-Sisi ha firmato con la Francia un contratto per l’acquisto di armi. Il costo dell’operazione è di 5,2 miliardi, tutto a carico dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi. Hollande ha definito l’operazione come necessaria per la sicurezza dell’Egitto e del Medio Oriente.

È un ottimo affare per la Francia, in questa fase di crisi economica, e per la sua multinazionale Dassault Aviation: 24 cacciabombardieri Rafale venduti al regime del Cairo. Dassault ha tutto l’interesse a convincere la gente che la guerra è necessaria e lo fa ormai da anni attraverso Le Figaro, giornale di sua proprietà, uno dei più venduti in Francia (a proposito di liberta d’informazione!).

Di recente, in una visita a Parigi, Al-Sisi ha esortato l’Europa ad intervenire militarmente in Libia. In Egitto, dopo un periodo flash di prove generali per l’avvio della democrazia, il colpo di Stato del 3 luglio 2013 ha riportato la lancetta della storia al periodo pre-rivoluzione del 25 gennaio 2011 caratterizzato dalla violenza e dalla repressione. Da quando è arrivato Al-Sisi al potere la situazione dei diritti umani è peggiorata. Lo afferma Amnesty international, che parla di una «repressione senza precedenti negli ultimi 30 anni»: 1500 condanne a morte e 45mila oppositori incarcerati… Il governo francese tutto ciò lo sa, ma evidentemente vale anche per esso la massima di Henry Kissinger di cui sopra, che del resto è il motto cardine di tutte le potenze (neo)coloniali.

Da confronti.net


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