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I “paletti” di Art.21 per la riforma della Rai

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Negli anni passati, a partire dall’infausta controriforma del Ministro Gasparri del 2004 (Legge n.112 di quell’anno poi transitata nel TU della radiotelevisione -31 luglio 2005 n.177), abbiamo presentato, con Articolo21, numerose proposte di legge in Parlamento e fuori del Parlamento sulla “questione Rai”. Abbiamo affrontato tutti i temi nevralgici dell’assetto della televisione pubblica: la missione, la governance, il finanziamento, l’antitrust e il conflitto d’interessi. L’unico grande progetto di partecipazione dei giovani e delle scuole per identificare la nuova missione della Rai è stato realizzato proprio da Articolo21.

Tutte queste proposte sono state fatte per riportare l’Italia in Europa ed evitare le procedure d’infrazione che si prospettavano minacciose.
Oggi, nel momento in cui il Governo ha annunciato di voler intervenire, abbiamo solo posto una condizione preliminare e cioè che non si scelga la strada del decreto legge. Non ci sono le condizioni costituzionali di necessità e di urgenza e la materia non lo consente. Il precedente più importante di decreto legge in materia radiotelevisiva risale al 1984 (d.l. 6 dicembre 1984 n.807), ai tempi di Craxi e in favore dell’imprenditore Berlusconi. Non sembra proprio il caso di riprendere quella strada.

Non ci pare neppure il caso, in questo momento, con il Governo che ha annunciato una sua prossima iniziativa, di presentare una nuova proposta di legge, tra le tante che si affastellano sui tavoli del legislatore. Le nostre proposte, per chi volesse consultarle, sono facilmente rintracciabili sul nostro sito.

Quella che sembra necessaria oggi è una sintetica griglia di principi capaci di realizzare una lettura “critica” dei testi che presto verranno proposti.

  1. Diciamo innanzitutto che non basta dichiarare che la riforma della Rai deve mettere i partiti fuori dalla televisione pubblica. Questo va bene. L’abbiamo detto con tanti altri fino alla noia. Vorremmo aggiungere che dalla televisione pubblica devono essere tenuti fuori, sia i partiti che il Governo. Se uscissero i primi e restasse il secondo sarebbe una iattura e non si rispetterebbe il principio enunciato dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n.225 del 1974. “Che gli organi direttivi dell’ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività”. Non c’è un solo modo per realizzare questa condizione, ma ne esistono diversi.
  1. La proprietà delle azioni deve transitare dal Governo ad un altro soggetto. I poteri della proprietà sono inevitabilmente invasivi. Una fondazione va bene ma l’importante è che il suo vertice sia capace di rappresentare, al meglio, la complessità e il pluralismo (sociale,culturale,ideativo, produttivo, tecnico) della nostra società. Da quella fonte vengono scelti gli amministratori della società.
  1. Il passaggio decisivo è rappresentato dai requisiti (elevati) per accedere sia al Consiglio della Fondazione che al Consiglio della Rai. L’indipendenza si gioca su quei requisiti e sulla trasparenza delle scelte. E’ indispensabile un confronto pubblico delle candidature ed una scelta garantita al massimo livello. Credo che per offrire questa garanzia debbano impegnarsi sia la Presidenza della Repubblica che le Presidenze delle Camere, così come avvenne nel 1993. E si ricordi sempre che tutti questi soggetti hanno il dovere istituzionale di garantire le minoranze, ma non con il manuale Cencelli.
  1. Non è essenziale che resti la Commissione parlamentare Rai. Il Parlamento può esercitare in prima persona e in maniera più autorevole le competenze di indirizzo, valendosi in fase preparatoria delle sue commissioni. Le Autority possono esercitare funzioni regolamentari ma non di nomina. Non tutte hanno una consolidata tradizione di indipendenza.
  1. Due soli paletti ancora. Il conflitto d’interessi, prima di tutti. Se ci fossero dei dubbi la vicenda di Raiway insegna moltissime cose. Fu Gasparri e il Governo Berlusconi a bloccare nel 2001 la vantaggiosissima vendita agli americani di Crown Castle del 49 per cento delle azioni ed è Mediaset oggi a tentare una sorta di scalata della società. E’ indispensabile che nella legge vi siano precise incompatibilità che rendano impossibile attribuire posizioni di responsabilità nella televisione pubblica a chi versi in condizioni di potenziale conflitto con i suoi interessi.
  1. Il finanziamento infine. Il punto è tra i più delicati. Lo è ancora di più dopo la discutibilissima sottrazione alla Rai dei 150 milioni nel corso del 2014. E’ vero che c’è un’evasione intollerabile del canone. Bisogna trovare gli strumenti per superarla. Si può cercare un aggancio diverso, come si è fatto in Francia o in Germania, all’abitazione o alla bolletta elettrica. La scelta più pericolosa resta quello di finanziare la televisione pubblica con i criteri della fiscalità generale. Il Governo si troverebbe ad avere in quel caso l’ultima parola ed allora passeremmo dalla padella alla brace.

Una televisione pubblica finanziata direttamente dal Governo getterebbe alle ortiche ogni speranza di seria indipendenza.


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