Musica. Musica. Musica
Venditori di frutta riempiono le vie di nenie ammalianti.
Traendo dalle custodie di violini “subbia e mazzolo”, gli scalpellini/musici ritmano la scena.
Nino Romeo aedo “canta”, come avrebbe fatto il poeta, il verso “contro” il muto lettore suo doppio.
Nino Romeo ci aveva già fatto intendere che si sarebbe trattato di musica. Una folgorazione giunta lungo le vie catanesi: il contestuale sovrapporsi di scalpellini, ambulanti e dei versi nella mente del regista. L’intuizione:l’imponente opera di Domenico Tempio non basta leggerla, anzi non è fatta per la lettura, deve essere declamata, ascoltata; o sarebbe come voler leggere Bellini, dagli spartiti.
Con Domenico Tempio, nel tardo ‘700, la città di Catania registra un ridimensionamento. Dal fervore della ricostruzione dopo il terremoto del 1693, alla stasi economica e rivolte per le carestie, di circa un secolo dopo. Si cancella nel nascere, in Sicilia, il “secolo dei lumi”. Come Brancati, il Tempio fu confinato nella caratterizzazione erotica, elemento pur prevalente nella sua poesia. Ma la sua opera è morale ed in parte politica, denunciando nell’interesse materiale il “motore” delle vicende della classe dirigente siciliana (anche dell’epoca) e certificando così l’incompiutezza delle intenzioni dei suoi concittadini, che altri hanno sintetizzato con “monumenti nati rovine”.
Interessante la vicenda: Il notaio Codicillu commette l’imprudenza del titolo raccontando alla moglie le “dimensioni” straordinarie del materassaio Staci. La moglie tempestivamente fa richiesta di avere riempito il suo “materasso” da mastro Staci. Con boccaccesca invenzione la vogliosa moglie riesce a tradire il marito, mentre lo guarda con languidi sguardi dalla balaustra di casa, sovrastante lo “scranno” del notaio. Mentre Staci ben riempie il “materasso”, un improbabile montone, forse eccitato dalla scena inequivocabile, attacca alle spalle l’artigiano e fa precipitare sullo “scranno” del notaio la coppia nel bel mezzo del fattaccio. Inarrestabile l’ira di Codicillu che, null’altro potendo, latineggia il suo evidente tradimento consumato.
“Chianciti chianciti picciriddi ‘ca a mamma vi l’accatta la cirasa” (piangete piangete bambini che la mamma vi compra le ciliegie), il canto dei fruttaioli si somma ai colpi di scalpello sulla pietra lavica dell’Etna. Il poeta rivive, sormontando con la sua musica quella delle vie della città. Il doppio, per noi solo banale lettore, muto sovrintende alla vicenda. Graziana Maniscalco, dietro una scala/sedia/prigione è la moglie vogliosa, che sintetizza la possente carica erotica del poeta settecentesco. Nulla di meglio poteva rappresentarsi per onorare la poesia di Domenico Tempio.
Non è certo il criterio di appartenenza che ci indirizza. I nostri suoni ed il nostro poeta così, invece, escono prepotentemente dai confini isolani, con una musicalità che non va letta, ma ascoltata come una sontuosa musica da camera. Certo la tentazione evocativa è forte. Ancor oggi nella “Civita” (il quartiere del “Canovaccio”) risuona lo sberleffo: “Chianci, chianci ca mamma t’accatta aranci”, come pure nella parola “scranno” in Sicilia si intende contestualmente lo studio, la scrivania e la poltrona, dove erano seduti al lavoro i nonni. Ma la musicalità della lingua siciliana ridimensiona il ricordo personale ed esalta la teatralità di ogni vicenda, Shakespeare compreso.
Come l’acuto stridere delle colate laviche, le parole del poeta suonano ancora, perchè nelle parole, come nelle pietre della nostra terra, è racchiusa una musica eterna, una preda che si lascia catturare solo rare volte, per rinascere, solo col grande calore, quando la mano è abile e ferma.
“In Petra.”
Trasfigurazione scenica de “L’imprudenza o lu Mastru Staci” poemetto erotico di D. Tempio.
Drammaturgia di Scena e Regia: Nino Romeo.
Musiche ed orchestrazioni: Franco Lazzaro
Scene: Gabriele Pizzuto.
Costumi: Rosy Bellomia.
Con: Nino Romeo (narratore), Graziana Maniscalco, Saro Pizzuto (il doppio).
Coro: Rossella Cardaci, Pietro Cocuzza, Anna Di Mauro, Eloìse Pisasale.
Musici: Sara Castrogiovanni, Gabriele Cutispoto, Alfonso Lauria, Ennio Nicolosi. Al Teatro del Canovaccio di Catania (e successiva tournée)
di Francesco Nicolosi Fazio