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Diffamazione: la Cassazione assolve il giornalista Demofonti

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Sabato 23 gennaio 2010, ad Acquasparta, nel corso di una tre giorni promossa da Articolo 21, il giornalista Francesco Demofonti pronunciò un discorso in cui descriveva le condizioni di lavoro della redazione della quale era componente del Cdr. Dirlo gli costò una querela per diffamazione che, a distanza di quasi cinque anni (il 19 settembre 2014), si è conclusa con l’assoluzione in Cassazione del giornalista, con la formula “perché il fatto non sussiste, difeso dall’avvocato Paolo Barone di Roma. Pubblichiamo un estratto delle motivazioni della sentenza della Corte Suprema di Cassazione, quinta sezione penale, in quanto esprime un principio di diritto che riteniamo utile per tutti coloro che svolgono questa professione:
“La Corte territoriale ha ritenuto che le dichiarazioni del DEMOFONTI, tenuto conto del contesto nel quale sono state rese, della finalità che le ha caratterizzate, del loro tenore e della loro corrispondenza ad una realtà fattuale accertata sulla base delle risultanze processuali, non siano caratterizzate dal contenuto offensivo che è elemento costitutivo del reato di diffamazione. Insomma, la Corte ha ritenuto che sia superfluo evocare anche la valenza scriminante del legittimo esercizio del diritto di critica: il DEMOFONTI ha espresso liberamente – già con la copertura prevista dall’art. 21 Cost. – una sua opinione, fondata su notizie vere e che i partecipanti all’assemblea di “Articolo 21” avevano interesse ad apprendere. La sua condotta, in altre parole, è stata inoffensiva ab initio, senza la necessità che il diritto di critica – pure invocato dalla difesa dell’imputato – venga a rendere penalmente irrilevante un fatto altrimenti antigiuridico. Tale valutazione operata dalla Corte territoriale appare fondata. A tal proposito, va evidenziato che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare le frasi che si assumono lesive della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (Sez. 5, Sentenza n. 41869 del 14/02/2013 Ud., Fabrizio e altro, Rv. 256706; Sez. 5, Sentenza n. 832 del 21/06/2005 Ud., Travaglio, Rv. 233749)”.
I giudici del Supremo Consesso, dunque, hanno espressamente riaffermato la primazia del diritto all’informazione, libera ed incondizionata, chiarendo che la condotta del giovane componente della redazione era perfettamente aderente al principio costituzionale espresso dall’articolo 21.


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