E’ di questi giorni la diatriba che vede di nuovo il caso Battisti nel mirino dei media, dopo la decisione di espellerlo dal Brasile. Una querelle iniziata nel 2007, dopo l’arresto del pluriricercato a Rio, che ha coinvolto prima Lula e poi Dilma Rousseff, e quattro differenti ministri degli Esteri italiani. Il rifiuto di rinnovare il soggiorno all’ex proletario armato, annulla la sentenza del 2011, emanata da STF (Supremo Tribunal Federal) il quale votò contro l’estradizione, richiesta a più riprese dai governi che si sono accavallati in Italia durante l’ultimo lustro. La telenovela Battisti è perfetta nel Paese che ha dato origine a questo genere, e si adatta a fagiolo al nostro, che di tutto il Vecchio Continente ne è l’interprete più autorevole.
In realtà ci si dovrebbe porre un solo quesito: chi ha interesse oggi a prendersi questa patata bollente?
Giochi politici
Il destino di colui il quale condivide nome e cognome dell’eroe dell’Irredentismo, ha minacciato di mutare più volte nel corso di questi sette anni; Battisti però non si è mai schiodato finora dalle spiagge brasileire.
La contesa è stata sempre inquadrata nel duello politico tra le parti in causa, invece di essere discussa a livello giuridico al quale appartiene. Nel 2009Tarso Genro, ministro della Giustizia, richiese lo status di rifugiato per possibile minaccia all’incolumità dell’uomo, in caso di rientro in patria. Status dichiarato illegittimo da STF, che rimetteva la decisione nelle mani del Presidente Lula, il quale invece avallò la richiesta, provocando infinite polemiche con l’allora governo Berlusconi, e il Presidente Napolitano. Durante quei giorni, le fiamme della discordia divamparono, mettendo in risalto l’aspetto fazioso della faccenda, che contrapponeva il Pdl al Pt (Partido Trabalhadores) di cui Lula è il fondatore. In Brasile la stampa più potente, rappresentata da O Globo e Folha de S.Paulo, è di stampo conservatore; per cui alcuni editoralisti appoggiarono il governo italiano.
Dopo la fine del mandato presidenziale, Dilma Rousseff, dello stesso partito, salì al potere, e rimandò la questione di nuovo a Stf che nel giugno 2011 votò contro l’estradizione.
L’Italia non aveva competenza legale per discutere una decisione della Corte Suprema Federale, che poteva essere annullata solo dal Capo di Stato; ma Dilma si era chiamata fuori, la questione era chiusa.
La faccenda andrebbe affrontata solo dal punto di vista giuridico; il trattato di estradizione tra Italia e Brasile, redatto nel 1989, recita quanto segue: “...l’estradizione non sarà concessa dallo Stato richiesto, se: a) alla data della ricezione della domanda è intervenuta, secondo la legge di uno degli Stati contraenti, prescrizione del reato o della pena.
- b) per il reato costituito dal fatto per il quale è domandata, è intervenuta, nello Stato richiesto, amnistia e quel fatto ricade sotto la giurisdizione penale di tale Stato;
- d) il fatto in questione, è considerato dallo Stato richiesto come un reato politico.
- e) la Parte richiesta, ha serie ragioni per ritenere che la persona in oggetto sarà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche, o che la situazione di detta persona rischia di essere aggravata da uno degli elementi suddetti…”
Quindi, anche se paradossale nel caso di un uomo condannato all’ergastolo per 4 omicidi, se il Brasile considera i reati imputati a livello politico, e se ritiene, come fece Lula nel 2009, che ci possano essere rischi di atti persecutori o vendette nei confronti della persona in oggetto, a livello giuridico non c’è molto da fare, se non rivedere l’intero trattato, con il consenso di entrambi gli Stati. A riprova di quanto detto, cito una recente sentenza della Corte di Appello di Roma, che ha invece accolto la richiesta di estradizione avanzata dal Brasile nei confronti di un trafficante di organi nostrano:
“La Corte ha dichiarato sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di estradizione avanzata dal governo del Brasile nei confronti di T.G.G. ai fini di espiazione della residua pena di anni quattro mesi nove giorni sei, inflitta con sentenza del 15 dicembre 2004 della 13a Sezione Giudiziaria Federale, per i reati di associazione per delinquere e traffico d’organi; la richiesta è formalmente ammissibile, in quanto ricorre la condizione di cui all’art. 2 del Trattato Bilaterale di estradizione, la durata della pena residua è superiore a nove mesi di reclusione, e sussistono gravi, precisi e concordanti indizi riguardo reati per i quali l’estradando è stato condannato con sentenza passata in giudicato; non ricorrono ragioni per ritenere che l’estradando sarà perseguitato per motivi di carattere razziale, religioso o politico”.
Dilma è stata messa sotto torchio quest’anno dall’opposizione, dopo la sua vittoria di Pirro all’ultimo turno delle presidenziali in ottobre 2014; si ritrova il Parlamento imbottito di conservatori, e quella di Battisti è una spina nell’alluce che non vede l’ora di togliersi; in questi giorni sulla stampa italiana sono rimbalzate notizie contradditorie, ma alla fine sembra che il Brasile sia orientato a espellere il corpo estraneo. Essendo stato negato a costui il rinnovo del permesso di soggiorno, non sussiste più la legalità della sua permanenza. A dire il vero, sfogliando i giornali locali, il caso è sparito dalle cronache; sulle prime pagine di nuovo campeggia loscandalo Petrobras. Di fatto il procedimento di espulsione dovrebbe coinvolgere le nazioni lungo le quali Battisti ha circolato prima del suo arrivo in Brasile, Messico e Francia. Non è scontato però, che i rispettivi governi diano il nulla osta per accogliere questo personaggio. A che pro?
Alla fine, non è improbabile che il figliol prodigo ritorni a casa; dove comunque altri terroristi o presunti tali, pentiti o non, neri o rossi, pur condannati per stragi e omicidi vari, una volta scontata la pena, hanno trovato posti accoglienti, anche dentro partiti e associazioni. Di vendette o quant’altro, oggi nessuno ne ha più voglia. Tiriamo a campare.