Il giorno dopo le cose sono più chiare. Dopo la manifestazione a Piazza del Popolo, la Coalizione sociale si fa “massa critica” (Rodotà) per chiedere ai partiti di ripensare alla dignità del lavoro attaccata dal Jobs Act. Al di là della truffa delle parole, che nascondono la fine della tutela dall’ingiusto licenziamento, con le suadenti “tutele crescenti”.
“E’ come se – mi dice un metalmeccanico mentre marciamo – ci togliessero la libertà di parola in azienda. Se sai che ti possono licenziare quando vogliono, stai zitto e incassi le ingiustizie tue e ti giri dall’altra parte se vedi quelle che fanno agli altri”. I lavoratori si riprendono la parola in piazza perché scoprono con rabbia e dolore di non essere più difesi dal PD in Parlamento e dal suo Governo. Un lutto di rappresentanza che sembrava impossibile potesse accadere.
“Con Renzi si è tutto incasinato – fa una lavoratrice che tiene lo striscione della sua fabbrica in liquidazione – e il PD che viene dal partito dei lavoratori, adesso a noi lavoratori non ci caga più. E sbaglia chi pensa di stare all’asciutto, solo perché non ha il contratto nuovo del Jobs Act, perché tra un po’ toccherà pure a lui. Perché appena cambi lavoro, diventi Jobs Act, anche se prima eri art. 18”. Il sindacato della Fiom scopre così che deve farsi carico di questa domanda di tutela e ampliare il suo ruolo, per ascoltare associazioni e movimenti, e intraprendere insieme un pericoloso di “mobilitazione delle debolezze” per superare un “vuoto di democrazia” (Zagrebelsky).
Ecco, questo è il punto.
Non credo – come dice Landini – che Renzi sia peggiore di Berlusconi, ma credo che sia molto più pericoloso. Perché quello attaccava da destra i diritti ed era un nemico riconoscibile, mentre Renzi li svuota da sinistra e a molti questa sua collocazione basta per fidarsi e lasciarlo fare.
Il giorno dopo è tutto più chiaro e più duro.
Ma c’è speranza, perché si sente la forza di una coalizione. Sociale.
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