Sono a favore del divorzio breve e immediato (consensuale in assenza di figli), nella logica del rispetto dell’autodeterminazione dei soggetti. E’ assurdo pensare che l’attuale lasso di tre anni di intervallo forzato tra separazione e divorzio aumenti la possibilità di ripensamento o persino funzioni da deterrente allo scioglimento di un’unione. Anzi, spesso questa forzatura temporale alza la conflittualità dei separati e impedisce loro di elaborare il distacco e ricostruire relazioni affettive alternative.
Purtroppo, aleggia sulle decisioni “biologiche” (nascita, sesso, morte) un’oppressione della comunità sui singoli, come se riconoscendo diritti a questi ultimi si ponesse in pericolo la sopravvivenza della collettività. E’ invece vero il contrario: solo se i soggetti si sentono rispettati nei propri bisogni, sviluppano una relazione solidale verso il gruppo.
Ma qui si tocca il tasto della laicità.
Il matrimonio indissolubile religioso non dovrebbe avere nulla a che fare con quello solubile civile. Eppure la cultura – ovvero la mentalità comune delle persone – confonde i campi Anche qui, come in altri temi “biologici” ci vorrà tempo per far capire che essere per il divorzio non significa essere contro la famiglia. Così come essere favorevoli all’aborto ospedaliero non è una dichiarazione di guerra alla vita, ma solo una riduzione del danno della clandestinità. E riconoscere il diritto alla morte per scelta non è omissione di soccorso, ma rispetto di chi non vuole forzare la biologia a scapito della propria dignità.
I diritti sono il riconoscimento di bisogni soggettivi giudicati accettabili dalla comunità
Liberare dalla condanna culturale bisogni negati è un impegno duro, come tutte le affermazioni di nuovi diritti che si scontrano contro l’inerzia della tradizione.
Ma solo così si riduce la sofferenza. Cioè, si aumentano i carati di rispetto per alzare il valore della convivenza.
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