Arriva in Aula la proposta di legge che in caso di adottabilità di un minore già dato in affido consente proprio agli affidatari di adottarlo. Ma molte associazioni sono contrarie all’allargamento anche ai single
ROMA – Cade un muro, quello del divieto di adozione per le coppie che hanno avuto un bambino o un ragazzo in affido temporaneo: una riforma arrivata in questi giorni in Aula al Senato per il primo sì e che sarebbe largamente condivisa se non fosse per una modifica che mira a consentire l’adozione non solo alle coppie affidatarie che siano in possesso dei requisiti richiesti dalla legge sull’adozione (fra questi, l’essere sposati da almeno tre anni), ma anche a quelle coppie non sposate o perfino a quelle persone singole alle quali la normativa attribuisce, in casi particolari, la possibilità di avere un minore in affido. Così, l’emendamento proposto dalla relatrice del testo, la senatrice Pd (e responsabile scuola del partito) Francesca Puglisi, ha spaccato il fronte unitario e aperto un nuovo dibattito sull’opportunità o meno – “nel supremo interesse del minore” – di consentire o non consentire a questi affidatari la possibilità dell’adozione.
Il senso della proposta di legge, così come fino a poco tempo fa concordato, è quello di dare una risposta concreta ad una situazione che si viene a creare per un certo numero di minori dati in affidamento. L’istituto dell’affido – che secondo la legge non dovrebbe protrarsi per più di due anni e che è pensato anzitutto come un affiancamento della famiglia affidataria alla famiglia d’origine del minore – nella pratica si prolunga notevolmente oltre quel termine. Le stime dicono che in quasi sei casi su dieci l’affido si prolunga oltre i due anni, e nella metà di questi casi sfora i quattro anni. La conseguenza più evidente è che fra la coppia (o il singolo, se si tratta di un caso particolare previsto dalla legge, ad esempio un bambino con disabilità) da un lato e il minore dall’altro si crea un legame molto forte, che ora la proposta di legge mira in qualche modo a conservare e a tutelare.
Se il minore può tornare nella sua famiglia d’origine, il testo prevede che venga tutelata la continuità delle relazioni con la famiglia (ex) affidataria, sempre che questo risponda all’interesse del minore; se invece viene decisa l’impossibilità del rientro nella famiglia d’origine e il minore viene dichiarato adottabile, le coppie affidatarie possono chiedere di adottarlo. Il testo precisamente prevede che se c’è la richiesta della coppia in tal senso, il giudice chiamato a decidere debba tenere conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo che si è realizzato nel tempo.
Nella prima formulazione, il testo prevedeva che la coppia affidataria potesse chiedere l’adozione del minore solo se in possesso dei requisiti che la legge richiede alle coppie adottive, ad iniziare dall’essere coniugati da almeno tre anni. Un emendamento depositato dalla stessa relatrice invece elimina questo vincolo, con la conseguenza che anche gli affidatari non sposati o perfino singoli affidatari potrebbero adottare.
Le associazioni riunite nel Tavolo nazionale affido (Anfaa, Ai.bi, Cnca e varie altre) hanno preso posizione ritenendo che il passaggio da affidatari ad adottivi debba essere circoscritto ai soli casi in cui gli affidatari siano “in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 6 della legge 184/83 (l’essere coniugati e il dimostrare la stabilità del rapporto di coppia, il possedere una certa differenza di età con il minorenne), il che evita improprie derive verso l’adozione di minorenni da parte di persone single o anziane”. L’unica eccezione ammessa potrebbe essere quella che apre anche ad affidatari single ed anziani la possibilità di adottare i minorenni loro affidati se trattasi di orfani di entrambi i genitori e se durante il prolungato affido si sia sviluppato un legame significativo”. Ma si tratta, viene spiegato, di casi molto limitati.
Contrarietà arriva dal Forum delle associazioni familiari: “La ratio della limitazione alle coppie sposate – si afferma in una nota – appare di una evidenza cristallina: offrire ai bambini una famiglia che abbia il massimo della stabilità e dell’impegno pubblico, attraverso il matrimonio”. I casi speciali nei quali è prevista l’adozione da parte di un singolo sono per l’appunto “casi speciali, mentre la generalità della risposta dello Stato deve necessariamente tendere a dare il massimo a un bambino in difficoltà”. No dunque allo slogan “adozioni più facili”, dice il Forum famiglie, mentre l’associazione Papa Giovanni XXIII rincara con un no all’utilizzo dell’affidamento familiare come un “cavallo di Troia” per estendere di fatto l’adozione a soggetti “privi dei requisiti previsti dall’attuale normativa in tema di adozione”.