“In un qualsiasi Paese civile, un leader condannato va a casa da solo”, diceva Renzi a proposito di Berlusconi e della sua decadenza da senatore. Certo, quella era una condanna definitiva, mentre nel caso di De Luca siamo solo al primo grado. Poi però c’è stato la vicenda di De Magistris e della sua sospensione, e anche qui il Pd aveva le idee chiare, come spiegava la di lì a poco candidata capolista nel collegio dell’Italia meridionale Pina Picierno: “Ci auguriamo tutti che De Magistris ritrovi il senso delle istituzioni che ha totalmente smarrito e che faccia un passo indietro per il bene dei napoletani”.
Ora, invece, un sindaco condannato e decaduto per gli effetti della sentenza, non solo non viene invitato alle dimissioni, ma viene addirittura candidato alla Regione, rischiando di trovarsi nella singolare situazione di non poter accedere al suo nuovo ufficio in conseguenza dell’interdizione collegata al pronunciamento dei giudici. E se da un lato Renzi si dichiara indisponibile a modificare la legge Severino, checché ne dica l’interessato, dall’altro quella candidatura, con tutti i suoi se e i però, rimane in piedi.
Se fossimo un po’ dubbiosi, diremmo che l’unica differenza fra i casi del capo di Forza Italia o del sindaco di Napoli e quello del primo cittadino di Salerno e candidato presidente in Campania, tanto forte da giustificare una tale diversità di comportamenti e dichiarazioni, sia nella tessera che hanno in tasca i protagonisti.
Meno male che non lo siamo. Quindi, la spiegazione dev’esser un’altra, del tipo che la legge Severino si applica a targhe alterne, con esclusione delle domeniche: che giorno era quello in cui De Luca ha vinto le primarie? Appunto, tutto quadra; non c’è alcuna contraddizione.