“Detesto anche solo l’idea che l’omicidio di David diventi il pretesto per prendersela con gli stranieri. Non voglio che ora si crocefiggano i marocchini, non sarebbe giusto. Perché allora noi dovremmo crocefiggere anche gli italiani che uccidono le mogli. In casa nostra il razzismo non è mai entrato e non entrerà mai.” Uno schiaffo in faccia. Di quelli pero’ che non fanno male, ma svegliano. Le parole di Diego Raggi, il fratello del ragazzo ucciso a Terni da un ubriaco, quelle frasi rilasciate durante un’intervista, sono state una sorpresa, una boccata di ossigeno. Eppure si trattava di una storia terribile che sembrava fatta apposta per essere usata, manipolata e trasformata in una bandiera contro gli immigrati. Ma cosi’ non e’ stato. Anzi. Da Terni , citta’ delle acciaierie, citta’ ordinata e dignitosa nelle sue strade come nel reagire alla tragedia, e’ invece arrivata una lezione di civiltà, di ampiezza di vedute , intelligenza e rispetto. Ma quale tragedia? Un ragazzo, un bravo ragazzo di 27 anni e’ stato ammazzato da un altro ragazzo, quasi della stessa eta’, ubriaco. Cio’ che poteva essere strumentalizzato e’ che l’ubriaco era un marocchino.
Vale la pena ricostruire le varie fasi di questa vicenda per capire il valore di quanto e’ accaduto dopo .
Un ragazzo, David Raggi, e’ per caso fuori da un locale del centro di Terni. Sempre per caso, proprio in quel momento esce dal bar un uomo originario del Marocco, Amine Aassoul. Ubriaco e furibondo. Aggredisce David. Lo uccide. Con un colpo di bottiglia rotta.
E’ stato David stesso a chiedere un’ambulanza e all’amico medico che per primo lo ha soccorso ha detto: “non ci arrivo in ospedale”. E poi ha chiesto di dire ai suoi famigliari che gli voleva bene.
Momenti strazianti. Mentre il suo assassino veniva arrestato David moriva.Un’aggressione di “violenza inaudita”, ha detto il questore. Il gip di Terni che ne ha convalidato l’arresto ha definito Aassoul , una vera e propria macchina da guerra. Dalle indagini poi è emerso che ad Assoul , arrivato a Terni nel 2007, dopo alcuni furti era stato revocato il permesso di soggiorno e rimpatriato. Ma lui era tornato in Italia l’anno scorso, sbarcando a Lampedusa. La sua richiesta di asilo politico era stata respinta ma lui aveva fatto ricorso ed era in attesa di una decisione in merito. Quindi tutti sapevano che era in Italia , forse a Terni, nonostante i reati commessi , il rimpatrio, il ritorno e la negazione del permesso di soggiorno.
Perche’ era necessario ricostruire una vicenda gia’ nota? Perche’ la fine poteva essere scontata: una citta’ come Terni, che accoglie molti immigrati, poteva rivoltarsi incattivita, protestare, organizzare squadracce, come e’ capitato in un quartiere di Roma non troppo tempo fa. Ma soprattutto i parenti del ragazzo ucciso avrebbero potuto , col diritto del dolore e delle lacrime, dire cose orribili sugli stranieri, sulla giustizia che protegge gli immigrati e non gli italiani, sulle orde di assassini e ladri che arrivano con i barconi…
Gia’, perche’ gli ingradienti per dare fuoco alla miccia c’erano tutti: l’immigrato clandestino arrivato col barcone, ladro, assassino e lasciato a piede libero che si ubriaca e uccide il bravo ragazzo .
E invece no. I partenti di David si sono presentati civili. Composti. Distrutti dal dolore, gonfi per le lacrime ma non accecati dall’odio che cerca la prima vittima disponibile da sacrificare alla propria sofferenza. La famiglia del ragazzo ucciso, e insieme alla famiglia tutta la citta’ , ha saputo distinguere, scindere, analizzare e capire. Il fratello Diego , arrabbiato, si chiede come e’ stato possibile che sia stato permesso di restare all’assassino di suo fratello nonostante l’espulsione e il suo rientro illegale. Chiede che di avere giustizia. Chiede che l’uomo che gli ha ucciso il fratello senza un motivo paghi. Che passi il resto della sua vita in galera, che non abbia i domiciliari tra dieci anni.
Comprensibile, legittimo. Ma cio’ che ha lasciato sgomenti e commossi e’ stato il seguito delle dichiarazioni di Diego quando qualcuno gia’ parlava di David Raggi come di una vittima di mare nostrum.
“No- ha detto in un’intervista – non voglio che la vicenda di David venga strumentalizzata. Non voglio che mio fratello diventi il simbolo della lotta all’immigrato. Era una persona buona con tutti, non accetterebbe che la sua morte servisse a far partire una campagna di odio contro gli stranieri”.
Ma non basta. Nell’eventualita’ che la madre dell’assassino di suo fratello volesse incontrarlo, Diego ha detto: se vuole chiamare, io sono qui e sarò felice di incontrarla. È suo figlio che ha ucciso mio fratello, non lei. Non c’è nulla di cui lei si debba scusare. E ha aggiunto che e’ andata a casa loro, a trovarli, una delegazione di marocchini che vivono in città. Sono stati gentilissimi, ha detto, ci hanno fatto le condoglianze. Erano molto dispiaciuti, si vergognavano.
Frasi semplici, pensieri limpidi. Una lezione di convivenza civile , un atteggiamento in grado di vedere la persona, non la nazionalita’ o il colore della pelle. Gruppi di individui che vivono e lavorano insieme, e dove, fisiologicamente la mela marcia puo’ sempre esserci ma non da’ adito a generalizzazioni strumentali.
E proprio questa storia terribile che sembrava fatta apposta , come si diceva all’inizio, per essere usata, manipolata e trasformata in una bandiera contro gli immigrati , e’ diventata una bandiera di civilta’ , di compostezza e di umanita’.