Il più critico è il Giornale: “Il Colle democristiano”. Il Fatto, invece, da oggi diretto da Marco Travaglio (auguri!) titola: “È caduta la monarchia”. E aggiunge: “Il neopresidente Sergio Mattarella si insedia con un discorso distante dall’interventismo di Napolitano. Esalta la Costituzione, l’autonomia del Parlamento (“No a interessi particolari”) e i giovani eletti. “Sarò un arbitro imparziale, ma i giocatori siano corretti”. Severo su mafia e corruzione, interrotto da 42 applausi”. La Stampa sintetizza in due sole parole il discorso di Mattarella: “Solidarietà e giustizia”. Il Corriere scopre un “Presidente che vuole parlare a tutti”, Repubblica lo cita: “Contro crisi e sfiducia dobbiamo riavvicinare i cittadini alla politica”. Mentre sul blog il “cittadino” Beppe Grillo fa al presidente auguri sensati. Hashtag #benvenutopresidente
In serata Matteo Renzi si è ripreso la scena da Bruno Vespa. Repubblica: “Sull’Italicum non tratto più”. La legge è passata al Senato, grazie all’appoggio decisivo di Forza Italia, e alla Camera, grazie al premio di maggioranza conquistato da Bersani, Renzi non dovrebbe avere problemi. A meno che non gli vengano dall’interno del Pd, o addirittura dal nuovo inquilino del Colle. Così Renzi spiega come doppio turno (e certezza di sapere la sera stessa del voto chi abbia vinto e governerà per 5 anni) siano farina del mulino Pd. Invece suggerisce al Presidente che il capolista bloccato, con volto stampato sulla scheda, somiglia dopo tutto al candidato unico previsto dalla legge Mattarella.
“La mossa di Renzi per andare a votare”, Libero la chiama così e attribuisce al Presidente del Consiglio l’intenzione di imporre l’Italicum per decreto anche per il Senato, e dunque portarci presto al voto per ritornare a Palazzo Chigi con un Parlamento a sua somiglianza. Questo io non credo, direbbe Crozza. Mattarella non sarà forse “interventista” – lo scrive il manifesto- ma ha ha cambiato l’agenda, ha spostato l’attenzione sui problemi reali, ha richiamato l’autonomia del mandato parlamentare. Se il governo entrasse in crisi, proverebbe a formarne un altro, e un altro. L’epoca dei ricatti – o così o a casa! – mi sembra finita. E il Sindaco d’Italia ancora non c’è, se non scritto su riforme ancora in fieri, che hanno bisogno di altri voti parlamentari e forse di superare un esame preventivo di costituzionalità.
“Francia e Italia appoggiano il piano di dissoluzione della Troika”, scrive El Pais. “Renzi apre con cautela al progetto di Tsipras”, corregge Repubblica. “Vogliamo dare una mano alla Grecia, che non vuol dire dar sempre ragione” sono le parole del premier, che ha poi regalato al greco una cravatta italiana da indossare quando Atene sarà uscita dalla crisi. Intanto la BCE fa la voce grossa e chiede gli utili – quasi da strozzino – ottenuti acquistando titoli greci quando venivano considerati spazzatura. Yanis Varoufakis replica: “La Grecia è già falllita nel 2010 e oggi non c’è alcuna ripresa. Non serve a nessuno affondarci. Certo, anche Obama dovrebbe passare ai fatti e premere sul Fondo Monetario – altro grande creditore – di cui gli States sono primi azionisti.
Infine il pensiero a quel ragazzo, pilota e tenente colonnello dell’aviazione giordana, Moaz al Kaseasbeh, bruciato vivo dai barbari del califfato. Purtroppo chiunque finisca in quelle mani è perduto. Dovremo imparare a parlarne di meno e a trattenere di più nella memoria ogni barbaro insulto. Armare i Curdi e sostenerli nella legittima rivendicazione di un loro Stato, premere su Erdogan perché la smetta col doppio gioco, dialogare con l’Iran, che è un regime teocratico, ma ha una vera opinione pubblica, e bombardare il califfato.
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