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Rai, è inutile riformare la governance senza ripensare i contenuti. E senza Rai Way

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Prima o poi arrivano. Così si può riassumere l’iniziativa del governo su due temi fondamentali da tempo annunciati. Il piano per bandalarga e la riforma della Rai. Due questioni in apparenza molto diverse ma che contengono, in realtà, più di un punto in comune. Innanzitutto, l’idea con cui lo Stato intende svolgere un ruolo diretto nel sistema delle comunicazioni, settore che di per sé potrebbe essere campo esclusivo del mercato. Non a caso Renzi in un primo momento si era orientato per una privatizzazione della Rai e per un sostegno della larga banda solo nelle zone in cui era assente la concorrenza. Come si sa però le cose cambiano e le certezze di ieri non ci sono più, sopraffatte dalle contingenze politiche.

Per la Rai sembra che il governo voglia rispolverare la vecchia idea, un tempo vituperata, del servizio pubblico in mano ad una fondazione, ad un Consiglio di amministrazione snello, ad un forte amministratore delegato. Ipotesi articolata in vario modo (tra le tante nel disegno di legge Gentiloni) con lo scopo dichiarato di contrastare l’invadenza della politica. Sarà poi così è tutto da vedere. Sembra infatti difficile una riforma scollegata dalla più complessiva revisione del sistema radiotelevisivo in un tempo sempre più caratterizzato dalla presenza di nuove forme di fruizione dei contenuti e di più piattaforme distributive. Insomma un’operazione che nella migliore delle ipotesi si presenta parziale, fatta solo per arrivare ad una nuova modalità di nomina del Consiglio di amministrazione.

L’occasione dell’approvazione del piano per la banda larga, iniziativa anch’essa non priva di contraddizioni, poteva invece essere il momento per avviare in Italia un’iniziativa di quadro sullo sviluppo digitale. Oggi la televisione non è più in un limbo separato e l’iniziativa pubblica su di essa e sulle reti non può essere priva di convergenza. Siamo già inesorabilmente nel tempo del multitasking e della distribuzione neutrale dei contenuti. Eppure si intende riformare la governance della Rai senza tener conto dell’”oggetto” governato e del suo sistema di riferimento. Ma c’è di più.

Come era facile prevedere (vedi mio post di molti mesi fa dal titolo Le torri del padrone) si annuncia un’Opa su Rai Way appena quotata (solo un caso?). Saremo l’unico Paese al mondo in cui lo stesso soggetto controlla il principale operatore Tv e tutta l’infrastruttura di trasmissione. Negli altri Paesi invece c’è un obbligo di separazione proprietaria tra reti e canali Tv. Sorprende perciò (ovviamente è un eufemismo) che Renzi si scagli contro Gasparri e la sua legge e poi consenta, senza cambiare quelle norme, l’Opa (è il Tesoro proprietario della maggioranza delle azioni RaiWay).

Cosa poi sarà la Rai la cui governance si intende riformare senza le sue reti è tutto da vedere (fa sorridere, altro eufemismo, l’idea di un servizio pubblico in mano tecnicamente al principale operatore privato). Il governo annuncia addirittura un decreto legge ma consente la liquidazione dell’oggetto su cui intende intervenire? Sembra impossibile, comunque vedremo nei prossimi giorni.

Intanto speriamo che le autorità preposte (Antitrust, Agcom e Consob) non dormano. Già in occasione della precedente intesa Elettronica Industriale – Dmt abbozzarono (con qualche contestazione interna). Dire che gli impianti sono aperti a tutti non significa niente. Ci vuole la separazione proprietaria e un listino vigilato dei costi di accesso. Fino a prova contraria la materia è ancora sotto l’egida delle regole sulla tutela del pluralismo.

* da “Il Fatto Quotidiano”


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