La parola d’ordine è indignazione. È trascorso quasi un mese dall’ultima manifestazione (27 gennaio, nda) tenutasi a Città del Messico per chiedere di non lasciar sprofondare nell’oblio le indagini sui 43 studenti misteriosamente scomparsi il 26 settembre ’14 a Iguala. Il corteo era guidato dalle famiglie dei giovani desaparecidos, la cui iniziale speranza di ritrovare i figli rapiti si è ormai convertita in un rabbioso bisogno di verità e giustizia. A pochi giorni dalla manifestazione, la magistratura messicana ha annunciato di avere la “certezza giuridica” sulla tragica fine dei ragazzi “privati della libertà, uccisi, i loro corpi bruciati e le ceneri disperse nel fiume”.
Cala il silenzio. Il popolo, indignato, tampona le ferite di un paese insanguinato. Il presidente Peña Nieto preferisce non esporsi, riflettendo quell’indolenza governativa tanto criticata dai manifestanti. La polizia e le autorità giudiziarie tentennano tra l’idealismo della caccia al colpevole e le profumate strette di mano con la criminalità organizzata.
La ricerca della verità passa quindi alla penna dei giornalisti, la cui libertà d’espressione si schianta tuttavia contro la corruzione di un sistema avvelenato alla radice. L’annuale report sulla libertà di stampa e informazione dell’associazione Reporters Sans Frontiers colloca il Messico al 148esimo posto su 180 stati. Nel solo 2014, tre giornalisti e una blogger sono stati assassinati in virtù delle proprie pubblicazioni. Veracruz è una delle regioni più pericolose per svolgere questo mestiere: rapimenti, sparizioni e attentati vengono occultati dalle autorità locali, consentendo alla malavita di operare indisturbata. I casi di sequestro sono talmente tanti che molti giornalisti sono stati costretti ad abbandonare il paese per poter svolgere serenamente la propria professione e garantire una vita serena ai familiari.
Gregorio Jiménez de la Cruz, Moisés Sánchez Cerezo, Daniela Jácome, Patricia Iveth Morales Ortiz, Enrique Juárez; sono solo alcuni tra i giornalisti e fotografi scomparsi o fuggiti in quanto perseguitati per le proprie idee. Rappresentano il cuore e la voce di quell’indignazione messicana capace di squarciare il silenzio delle autorità e affrontare a viso aperto il crimine e la corruzione. Forse, un giorno, grazie al coraggio e all’etica di queste persone, il governo messicano si siederà al tavolo per tendere l’orecchio e iniziare un percorso di tutela e riconoscimento dei diritti fondamentali.