circa sei anni fa, una contadina analfabeta calabrese (ne esistono ancora!) incontrò un noto neurochirurgo che le illustrò i vantaggi che avrebbe tratto da un intervento di rimozione di ernia discale. Alle domande della signora sulle possibili complicazioni, le fu risposto che si trattava di un’operazione semplice, routinaria.
L’intervento ebbe luogo in una nota clinica barese. Al momento del ricovero, la signora firmò, con crocesegno, tutti i modelli che le furono sottoposti. Tutti, tranne uno: il consenso informato all’intervento chirurgico – corredato da tutte le possibili conseguenze nefaste, mai illustrate verbalmente – sottoscritto per esteso dalla paziente.
L’intervento di routine andò male e la signora rimase paralizzata ed intubata, giacchè impossibilitata a respirare autonomamente. Il chirurgo fu denunciato, per lesioni gravissime e falso in atto pubblico (primo ed unico caso di paziente paralizzata e scolarizzata!). Le indagini durarono due anni, lui fu rinviato a giudizio, poi cominciò il processo, caratterizzato da (soliti) rinvii per omesse notifiche ed una lunga (prevedibile) istruttoria.
Nel frattempo la signora morì. Trascorsero altri quattro anni, e finalmente si giunse all’udienza finale: quella in cui PM ed avvocati avrebbero concluso, ed il giudice avrebbe emesso la sentenza. Ma il giudice fu destinato ad altra sede. Poco male, si dirà: parte un giudice e ne arriva un altro. La giustizia non si arresta.
Non è così: il comma II dell’art 525 CPP recita testualmente: “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”.
In altre parole, se gli imputati non accettano le risultanze dell’istruttoria condotta dal “vecchio” giudice, il processo COMINCIA DA CAPO. Poiché il reato contestato era prossimo alla prescrizione, il “nuovo” giudice ha stabilito un’ulteriore udienza, a distanza di un anno, per dichiarare ESTINTO il processo. Nessun colpevole, dunque. E i familiari della vittima? Dopo tanti anni e tanti soldi spesi in perizie ed avvocati, riusciranno ad accettare che il processo è stato solo una farsa? Che nel nostro fantasioso sistema giudiziario, il trasferimento di un giudice è di per se condizione sufficiente a vanificare sei anni di istruttoria?
Diceva Vaclav Havel “ non far nulla per combattere le ingiustizie, equivale ad approvarle”. L’articolo 525 del Codice di Procedura Penale è una di quelle norme vergognose che precipita un Paese come il nostro, agli ultimi posti della graduatoria delle nazioni in cui democrazia e legalità restano solo vocaboli coloriti.
Un norma che non può essere tollerata in un “cosiddetto Stato” di diritto.