“L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore” con queste parole, il neoeletto presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, ha reso omaggio a poche ore dalla sua elezione alle Fosse Ardeatine. Una visita come primo atto da Capo dello Stato nel luogo in cui 335 uomini furono uccisi in modo atroce dalla barbarie nazista, un olocausto di padri, figli, mariti, fratelli.
Un eccidio per rappresaglia contro l’attentato che i partigiani del Gap – gruppi di Azione Patriottica – avevano organizzato in opposizione all’occupazione nazista di Roma e, nella lotta per la libertà e la democrazia, verso un reparto del Polizeiregiment “Bozen” che ogni giorno transitava in via Rasella: lì il 23 marzo 1944, anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, Rosario Bentivegna nome di battaglia “Paolo” accende la miccia dell’ordigno esplosivo nascosto in un carretto, muoiono trentatré soldati.
Subito dopo l’attentato, i tedeschi iniziano il rastrellamento indiscriminato di più di cento civili innocenti, portandoli via dalle loro case in via Rasella, facendoli mettere in fila davanti a Palazzo Barberini con le mani alzate e obbligandoli a lasciare i figli che nella quotidianità tenevano stretti tra le loro braccia. Il Feldmaresciallo Albert Kesselring dispone per una rappresaglia di dieci italiani fucilati per ogni soldato tedesco ucciso e il Tenente Colonnello Kappler si occupa di selezionare le vittime: detenuti già condannati a morte, quelli in attesa di condanna, ebrei destinati ad Auschwitz e i civili rastrellati a caso. Cinquanta furono indicati dal questore Pietro Caruso.
I prigionieri, vengono poi caricati sui camion e portati nella grotta dell’eccidio, una cava di pozzolana sulla via Ardeatina, Priebke e il capitano delle SS Hass incaricati della strage si rendono conto che ci sono cinque prigionieri in più ma decidono ugualmente di eliminarli. Vengono uccisi tutti. Poi con delle mine fanno saltare l’ingresso della cava per occultare all’interno le vittime.
Mogli, sorelle, fratelli, figli, improvvisamente di uomini scomparsi nel nulla, privi di qualunque colpa, prigionieri politici introvabili, fino alla lettera del 5 aprile in lingua tedesca che informava le loro famiglie di recarsi presso Via Tasso a ritirare i documenti personali delle vittime, non una riga per giustificarne la morte. Alle donne ebree non fu comunicato nulla. Dal 1938 in Italia gli ebrei erano già stati privati di qualunque diritto, anche quello di poter piangere i propri cari uccisi. Un massacro celato, corpi ammucchiati uno sopra l’altro che solo dopo la fine della guerra vengono alla luce, sotto l’opera svolta dal professor Attilio Ascarelli che ne cura l’esumazione e il pietoso riconoscimento.
La visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è un ammonimento a ricordare, perché la memoria è determinante, perché il male che che è accaduto può tornare ad essere: “Fummo trucidati in questo luogo perché lottammo contro la tirannide interna e per la libertà contro lo straniero per l’indipendenza della Patria. Sognammo un’Italia libera, giusta, democratica. Il nostro sacrificio e il nostro sangue ne siano la sementa e il monito per le generazioni che verranno”.