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Libia: non commettiamo errori irreparabili

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Si pone il problema della necessità di un intervento militare in Libia ed ecco che tornano alla carica i guerrafondai da social network. Per guerrafondai da social network intendo tutti coloro che, comodamente seduti in poltrona, non perdono occasione di invocare assalti, attacchi preventivi, invio di truppe a dritta e a manca e, ovviamente, bombardamenti, lanci di missili e avanti di questo passo, in un’escalation di violenza verbale che indurrebbe a sorridere se non fosse indicativa di un clima.

A tal proposito, ci teniamo a chiarire che anche noi siamo dell’idea che l’ISIS vada fermato al più presto, in quanto costituisce un pericolo non più sottovalutabile per dimensioni, crudeltà, intenti e radicamento territoriale. Nessun cedimento, dunque, bensì un pacifismo realista: questa, a nostro giudizio, deve essere la bussola per affrontare un conflitto diverso dal passato e assai più insidioso.

Come ha spiegato l’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, nessun intervento ha senso o è possibile senza l’avallo esplicito dell’ONU, e occhio a chi non vede l’ora di menar le mani perché abbiamo già commesso abbastanza errori politici, strategici e diplomatici per andare dietro al “war president” e a un governo palesemente inadeguato come quello di Sarkozy che, a suo tempo, sostenne con vigore le milizie ostili a Gheddafi per accaparrarsi l’oro nero libico a danno di altri paesi concorrenti, fra cui l’Italia, e, stando ai maligni, ne chiese l’eliminazione per evitare che quest’ultimo rivelasse al mondo il sostegno economico garantito alla sua campagna elettorale.

Non che Gheddafi fosse uno stinco di santo o un leader illuminato, per carità, ma è innegabile che i macroscopici sbagli commessi nei quattro anni successivi alla sua deposizione abbiano gettato la Libia nel caos più totale, favorendo l’arrivo dei seguaci del Califfato che oggi minacciano l’Europa e le coste italiane da una posizione privilegiata.

Cosa fare, dunque? La strada da seguire è complessa ma ci sembra anche l’unica percorribile: una risoluzione delle Nazioni Unite, un contingente internazionale, un intervento militare capillare e senza esclusione di colpi per abbattere un mostro che altrimenti rischia di entrarci in casa e, al tempo stesso, una missione umanitaria sotto l’egida dell’Unione Europea per alleviare e ridurre al minimo le sofferenze della popolazione civile.

Inoltre, volendo offrire una lettura interessata della vicenda, potremmo cogliere l’occasione per avviare la costruzione di un esercito europeo, mettendo in comune armi, truppe, comandi e finanziamenti, e per realizzare un libro bianco della Difesa a livello continentale, non più eludibile visti i numerosi fronti di guerra che insidiano i nostri confini.

Ciò che è bene mettere in evidenza fin d’ora è che l’obiettivo dell’Occidente, per una volta, non deve essere quello, perseguito erroneamente in passato, di spodestare il despota di turno per insediare alla guida del paese colpito un fantoccio di fiducia, odiato dalla popolazione e assolutamente incapace di governare ma perfetto per eseguire ordini. Lo scopo deve essere, al contrario, quello di debellare una minaccia per l’umanità, e per il mondo arabo in primis, e restituire a popoli sconvolti dall’orrore che hanno vissuto sulla propria pelle per anni un minimo di dignità e la possibilità di scegliersi autonomamente i propri rappresentanti.

La crisi libica, infatti, deve indurci a riflettere sull’infatuazione che colse molti di noi nell’inverno del 2011, quando Tunisia ed Egitto si ribellarono ai rispettivi tiranni e molti di noi plaudirono alle piazze piene di giovani, al tam tam sui social network, alle manifestazioni auto-convocate, al riscatto dei popoli e via elogiando, finché non abbiamo assistito al golpe militare che ha deposto il governo dei Fratelli musulmani legittimamente eletto in Egitto e all’avanzata dell’ISIS in Siria e in Libia, con la sola Tunisia a salvarsi dal baratro, sperando che il ritrovato fervore democratico non si esaurisca tragicamente come nel resto del mondo arabo.

Non hanno sbagliato i manifestanti: ancora una volta, abbiamo sbagliato noi, illudendoci che il modello di democrazia adatto a quei contesti sia lo stesso su cui si fondano le nostre società, ignorando storia, divisioni interne, caratteristiche e ruolo dell’islam in paesi completamente diversi dai nostri, con tutt’altra visione del mondo, tutt’altri obiettivi, un sistema economico e produttivo incompatibile con quello occidentale e un cammino sul versante dei diritti e delle libertà civili ancora da intraprendere.

Come al solito, in pratica, abbiamo tentato di esportare la nostra democrazia dove nessuno ce l’aveva chiesta, con gli esiti che sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti.

L’unica speranza è che, per una volta, quest’Europa assente e burocratica, incapace di prestare soccorso ai disperati che fuggono da fame e miseria e ostaggio di tecnocrati senza cuore e senza alcun senso della misura e del ridicolo, quest’Europa, per una volta, trovi la forza di spazzare via il cancro dell’ISIS senza la pretesa di occidentalizzare l’Africa, lasciando che ciascun popolo, una volta libero, possa compiere il proprio cammino secondo le richieste dei suoi cittadini. Più che una speranza, diciamo che è un’utopia.


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