Libertà di stampa, la storia di Donato Ungaro e dei cronisti senza nome

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Italia al 73esimo posto nel mondo per libertà di stampa. Lo dice la fredda statistica di Reporter sans frontieres. Italia dietro Moldavia e Ungheria. Del resto, qui, non in Ungheria o in Moldavia o Eritrea, tra il 1960 e il 1991 hanno ucciso nove giornalisti che si occupavano di mafia. Qui l’osservatorio “Ossigeno per l’informazione” continua a sfornare i suoi bollettini settimanali sui cronisti minacciati dalle Alpi a Capo Passero. Tra queste, c’è una storia piccola e lontana da riflettori o statistiche. E’ una storia concreta che ne racconta altre e spiega la classifica di Rsf.

Tutto inizia nel 2000. Il protagonista si chiama Donato Ungaro, la storia si svolge in provincia  di Reggio Emilia. E’ una storia che ho già accennato in un post di tre settimane fa ma ora ve la racconto nel dettaglio. Donato oggi non vive più tra Brescello e Boretto, dove 14 anni fa l’ho conosciuto quando faceva il vigile urbano e ha iniziato a scrivere per il quotidiano “Gazzetta di Reggio” (gruppo Finegil-Espresso), quando io facevo il capocronista di quel giornale.

A Brescello, il paese in riva al Po dove sono stati girati i film tratti da Guareschi,  non c’era corrispondente e, si sa, no corrispondenti, no news.  Il fotografo Ermes Lasagna segnala uno in gamba che fa il vigile urbano ma vuole fare il cronista, ha letto tutti i libri su Peppone e don Camillo ed è una scheggia. Un vigile corrispondente è prezioso: conosce tutti e guarda tutto. Ungaro arriva in redazione. Non ha mai scritto un articolo, ma ha il tarlo delle notizie. Imparerà. Gli chiedo di farsi fare una lettera di autorizzazione dal sindaco Loris Coffrini, per evitare casini. Precario a 4 euro a pezzo. Dice: “Non c’è problema” e va via come se l’avesse preso il Corsera.

I problemi arrivano quasi subito, quando il vigile-corrispondente trova notizie scomode, per quei luoghi. A Reggio Emilia e provincia la crisi non era ancora arrivata, c’era grande immigrazione e le imprese edili locali (in gran parte gestite da imprenditori calabresi provenienti da Cutro) costruivano a ritmi vertiginosi.  Serviva sabbia. Un’impresa (la Bacchi, reggiana doc, sede a Boretto,  anni dopo indagata dalla procura di Reggio E. ma allora ammanicata e potente), estraeva abusivamente sul Po. La Forestale indagava sugli abusi della ditta.

Nell’inverno 2002, mentre nevica, Ungaro filma le escavazioni illegali e la “Gazzetta” pubblica (fermi immagine, le pagine web in quell’epoca non c’erano). Il video amatoriale finisce in procura che apre un fascicolo. Qualche settimana dopo al cronista Ungaro, ignoti tagliano le ruote della macchina, per due volte e di notte. Come a Cutro, ma siamo a Boretto, provincia di Reggio Emilia, provincia tricolore, medaglia d’oro per la Resistenza, a dieci minuti dal museo Cervi.  Io gli dico di andare dai carabinieri e quando va quasi lo dissuadono dal fare denuncia. Lui lo fa lo stesso.

Ungaro aveva capito quasi tutto e dieci anni prima che la procura di Bologna disponesse (è avvenuto tre settimane fa) un blitz sulle infiltrazioni delle cosche ‘ndranghetiste a Reggio e a Brescello, dove i cutresi hanno costruito un quartiere ribattezzato “Cutrello”. Non tutti i cutresi sono mafiosi, ovviamente, ma nel 2001, dopo la storia delle sabbie scavate abusivamente sul Po, Ungaro viene avvicinato in piazza a Brescello da uno dall’accento non emiliano che gli consiglia di stare cauto sul giornale. Sono i cutresi – lo dicono ora i pm antimafia di Bologna – che nel 2009 condizioneranno il voto a Brescello. Ma allora Ungaro questo dettaglio non può saperlo.

Ungaro porta in redazione un’altra bella storia: un misterioso progetto di centrale a turbogas da smontare in Portogallo e rimontare qui sul Po, su terreni agricoli, pronti a essere trasformati in zona industriale. E stavolta gliela fanno pagare.  Il sindaco di Brescello licenzia in tronco il vigile urbano-cronista. “Lavora poco e propala notizie riservate del Comune”, fu la motivazione del licenziamento. Falsa; della centrale a turbogas non c’era traccia negli atti ufficiali o riservati comunali (e questo era il problema, progetto “segreto”).

Ecco perché la storia di Donato Ungaro, racconta quella di tanti altri cronisti senza nome sparsi per l’Italia. Eroi quotidiani della carenza di articolo 21 della Costituzione. Minacciati a Vigevano o a Lodi o a Sondrio, oltre che a sud di Napoli.

E ora, Ungaro che fa? Ha fatto causa al Comune e per un po’ ha continuato a scrivere. Si è fatto riconoscere il praticantato. Ha superato gli esami e ha preso il tesserino rosso da giornalista professionista. Siccome però non riusciva a vivere di cronache pagate 4 euro, Donato è andato a Bologna e ha trovato un posto da autista di pullman municipali. Poi ha avuto problemi di sciatica e ora lavora in ufficio. E’ direttore volontario del giornalino “Piazza Grande” dei sans papier bolognesi. E aspetta la sentenza di Cassazione per essere riassunto al comune di Brescello: in appello, ha vinto. Licenziamento illegittimo. Se vince la causa, però, non farà  più l’autista né il vigile urbano.  Nonostante tutto, continuerà a fare notizie. Anche guidando il bus numero 32.

Fonte: “Il Fatto Quotidiano”


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