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Landini: “coesione sociale” per restituire ai lavoratori i diritti che il governo ha tolto

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È un Landini a tutto  campo quello che parla ai seicento delegati che partecipano alla assemblea dei delegati che si svolge a Cervia. Si leva diversi sassolini dalle scarpe, non ha bisogno di fronte alle tute blu di dire che non darà  vita ad un partito, che non abbandonerà il sindacato, potrebbe infierire e dare una lezione a Renzi Matteo che lo presenta come uno “sconfitto”, costretto  a lasciare il sindacato, “cacciato”, e per questo si  trasferisce  in politica, vuole fondare un partito. Da Melfi arriva la notizia che i lavoratori nelle assemblee hanno respinto l’accordo separato raggiunto da Cisl, Uil, Fismic con l’azienda, di cui  parliamo in altro articolo, con la Fiom che chiede di riaprire la trattativa. Landini chiede rispetto, lo fa non come persona, e il capo di un governo dovrebbe averlo come principio, anche se gli altri, dice, non la pensano come te. Chiede rispetto con la forze e l’orgoglio che gli vengono dal rappresentare un grande sindacato, il primo nel settore metalmeccanico con 350 mila iscritti, 16mila delegati che operano nelle fabbriche, maggioranza nelle rappresentanze sindacali. Non si può non tenere conto, come ha fatto il governo, di una forza sociale cosi rappresentativa, del movimento sindacale nel suo complesso, delle proposte, delle lotte.

Renzi non ha il consenso del mondo dei lavoratori

“Renzi – ha detto – deve farsi un ragione del fatto che non ha il consenso del mondo dei lavoratori. Non può  non ascoltarci, non può non confrontarsi con noi, con le nostre proposte.” Ha ricordato a questo punto, che non tiene conto neppure del voto del Parlamento ed è un fatto molto grave. Nella sua relazione il tema di fondo è stato quello della democrazia, ha parlato di pericoli “per la tenuta democratica”, di un mutamento della “piramide democratica”, di cittadini che non votano, esclusi dalla partecipazione. La Costituzione che non viene rispettata in particolare sulle questioni del lavoro, dei diritti. E qui l’attacco al governo è stata durissimo, argomentato dai fatti. Dice Landini che  il Jobs act  rappresenta la riproposizione, la traduzione in legge del programma di Confindustria, dall’attacco all’articolo 18 ai controlli a distanza sui lavoratori, al demansionamento, ai licenziamenti  collettivi. Con il contratto a tutele crescenti senza più diritti in un arco di tempo breve questa sarà condizione di tutti lavoratori. Accade che oggi al solito posto di lavoro si può trovare uno che gode ancora dei diritti previsti dallo Statuto e uno che non ha più alcun diritto. Un precario a vita può essere licenziato in qualsiasi momento.

Un cambio epocale della situazione sociale nella storia del dopoguerra

Si torna – sottolinea Landini – alla fine dell’800, al lavoratore senza diritti. Altro che modernità. Siamo ad un capolavoro del governo: facendo due conti, si scopre che le aziende risparmiano con questo “contratto”, soldi nostri, della collettività. Insiste molto il segretario generale della Fiom su “questo ritorno indietro”,  un cambio epocale della situazione sociale nella storia del dopoguerra. È un problema solo del sindacato?  È un problema che riguarda solo i lavoratori dipendenti? La risposta di Landini è secca: “Noi dobbiamo fare la nostra parte, ma questi sono problemi che riguardano istituzioni, governi, forze sociali, che esigono partecipazione dei cittadini, confronto“. È la coesione sociale di cui Landini parla da tempo. Lavoratori, disoccupati, giovani, studenti, associazioni, movimenti, devono unirsi, stare insieme promuovere lotte, iniziative, prima fra tutte quella di riconquistare  un nuovo Statuto dei lavoratori che tuteli tutti. Coesione sociale significa anche un rapporto con le forze politiche, come avveniva nel passato. Non si tratta di un nuovo partito cui affidare la rappresentanza del movimento. Si tratta, e qui ha pronunciato la parola  fatale, “politica.”

Politica non significa fondare un partito. Si è perso il senso della parola

Dice Landini che politica non significa partito, ma forse il guaio è che si è proprio perso il senso della parola. E si chiede: quando ci siamo battuti per i diritti, per la casa, per i servizi sociali, gli asili, la  scuola, che abbiamo fatto, se non politica? Il sindacato deve rispondere ai propri iscritti non solo per quanto riguarda la contrattazione, i problemi che si trovano sul luogo di lavoro, ma anche per tutto ciò che riguarda la sua vita, la sua dignità. Questo ha fatto la Fiom da quando è nata, questa è la Cgil, Confederazione appunto, sindacato generale. L’Europa, nessuno – dice – si è accorto che Renzi ne è stato il presidente per sei mesi. Ma  qui si gioca la battaglia per il cambiamento. Il Jobs act è la traduzione di quella lettera che qualche anno fa venne inviata dalla Bce. Uno sguardo al mondo, alle guerre. Fortunatamente, ha detto, “c’è qualcuno di sinistra che se ne occupa, Papa Francesco che si è  accorto di quanto sta accadendo”.

Mobilitazione per il nuovo Statuto dei lavoratori

Poi affronta la parte più “sindacale”, fa i conti in tasca alla Fiat che continuerà a far soldi pubblici, rivolto al governo accusa la assoluta mancanza di politica industriale, di scelte innovative. Infine la mobilitazione: nel mese di marzo la consultazione in tutti i luoghi di  lavoro nel quadro delle iniziative decise dal direttivo della Cgil: legge di iniziativa popolare per lo Statuto dei lavoratori, raccolta di firme per una legge sugli appalti, se necessario il ricorso al referendum abrogativo di alcune parti del Jobs act. Non si esclude  il ricorso a scioperi e manifestazioni. Infine, ma punto fondamentale, il ricorso alla contrattazione per “restituire” i diritti ai lavoratori cui la nuova legge li toglie.

Alessandro Cardulli

Da jobsnews.it


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