Lo scorso fine settimana l’Ambasciatore italiano Fabrizio Marcelli si è recato da Mogadiscio in missione in Somaliland per colloqui col Presidente Ahmed Mohamud Silanyo ed altre autorità dell’amministrazione autonoma. L’importante regione del nord della Somalia reclama dall’inizio della guerra civile del 1991 l’indipendenza ed il riconoscimento internazionale senza riuscirvi. La Regione è tuttavia uno dei luoghi più stabili del Corno d’Africa. Giusto, quindi, che l’Italia guardi al Somaliland come uno dei partner più promettenti dell’area per lo sviluppo delle relazioni bilaterali in attesa che a Mogadiscio si risolva la crisi istituzionale.
La Somalia, infatti, da oltre due mesi è senza governo. Il Presidente Hassan Sheikh Mohamud, dopo aver contrastato la richiesta della comunità internazionale di permettere al Primo Ministro Abdiweli Sheikh Ahmed di lavorare ed averne preteso la sfiducia in parlamento, ha designato quale Primo Ministro Omar Abdirashid Ali Sharmarke (Benedetto) imponendogli la lista dei ministri a se gradita. Ma questa volta il Parlamento ha risposto picche facendo chiaramente intendere che non avrebbe votato la fiducia al nuovo gabinetto. La prima lista è stata ritirata, ma neppure la seconda ha incontrato il favore parlamentare.
Si attende in questi giorni il terzo tentativo, fallito il quale Sharmarke si dovrà dimettere.
Così, nel paese senza alcun controllo, i traffici più loschi continuano a fiorire.
Il porto di Berbera, che in Somaliland si affaccia sul Golfo di Aden, è tra i più importanti della Somalia ed è salito alle cronache in questi giorni per la confisca di una nave che, nonostante l’embargo delle Nazioni Unite nei confronti di Eritrea e Somalia, trasportava armi pesanti, carri armati, artiglieria e mezzi blindati con insegne simili a quelle dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Le indagini in corso hanno sin qui accertato che la nave trasportava per conto di operatori eritrei e di una società sudanese.
In passato si è ritenuto che dai porti del Somaliland passassero anche armi destinate agli Al Shabab provenendo da questa regione Ahmed Abdi Godane, l’ex capo indiscusso dei terroristi somali ucciso da un drone americano lo scorso settembre a sud di Mogadiscio.
Un altro drone americano il 31 gennaio ha ucciso Abdi Nur Mahad, detto Yusuf Deq, un altro alto esponente dei fondamentalisti definito dall’Ammiraglio John Kirby, portavoce del Pentagono, la mente dell’organizzazione che preparava le bombe e gli attacchi kamikaze.
Intanto Zakariye Ismail Hersi, già a capo dell’intelligence degli Al Shabab con una taglia di tre milioni di dollari sulla testa e che si è consegnato ai militari di Ahlu Sunna Wal-Jamaha della Regione meridionale di Gedo, sta continuando la sua collaborazione con l’autorità federale di Mogadiscio.
In particolare Zakariye sta fornendo informazioni su Samantha Lewthwaite, detta la “Vedova Bianca”, la trentenne britannica jihadista vedova del suo primo marito Germaine Lindsay che con altri tre uomini uccise 56 persone e ne ferì oltre 700 negli attentati del 7 luglio 2005 alla metropolitana di Londra. Samantha Lewthwaite fuggì dalla Gran Bretagna e da qualche anno di trova tra la Somalia ed il Kenya dove avrebbe perpetrato numerosi attentati uccidendo 7 persone, comprese le esecuzioni di due religiosi musulmani e due pastori protestanti molto rispettati, e partecipando anche all’attentato del 2013 nel centro commerciale Westgate di Nairobi dove morirono almeno 68 persone. Di lei Zakariye ha riferito il collegamento con Al Qaeda ed altri elementi utili alla cattura. Proprio per queste conoscenze dell’ex terrorista il Kenya ha tentato un vero e proprio braccio di ferro con la Somalia per ottenerne l’estradizione sin qui invano.