Nulla ci viene risparmiato nel nostro amato Paese. Anche il fatto che per uccidere, dopo Giovanni Falcone, il giudice in spirito un suo fratello, Paolo Borsellino, c’è voluta la complicità dello storico capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera che era pagato dalla famiglia mafiosa dei Madonia a Palermo. Nel 1992,anno della strage dei due magistrati siciliani, il pentito Vito Galatolo, che oggi ha deposto davanti alla corte di Assise di Caltanissetta, era poco più che ventenne e gestiva un parcheggio abusivo a Palermo nei pressi di via d’Amelio. “A fine maggio o nella prima settimana di giugno-ha raccontato Galatolo- Vittorio Tutino mi disse che un amico nostro mi doveva parlare. Andammo a Brancaccio e lì appresi che si trattava di Filippo Graviano. Quando mi vide mi chiese subito di mio padre e mi disse che c’era da stare tranquilli, che eravamo coperti. Graviano, durante quell’ incontro, mi disse anche di lasciare il parcheggio che gestivo nei pressi di via d’Amelio. In precedenza Galatolo aveva fissato l’incontro con Graviano nel febbraio-marzo del 1992 per la preparazione dell’attentato contro Giovanni Falcone. In aula però Galatolo ha aggiustato il tiro, spostando in avanti quella data. Dopo la strage di via d’Amelio, Tutino incontrò nuovamente Galatolo. “Mi disse: visto che cosa è successo? Te l’avevo detto di lasciare il posteggio. Immagini se fosse capitato qualcosa a qualcuno di voi?”
Dopo l’assassinio di Paolo Borsellino però Vincenzo Galatolo, padre del pentito e boss storico dell’ Acqua santa, era furioso e ed era preoccupato per quello che poteva capitare al figlio. Per lui c’era un legame tra la famiglia dei Madonia e Arnaldo Barbera ex capo della squadra mobile di Palermo e coordinatore delle prime indagini sul delitto Borsellino, quelle depistate dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino.
“La Barbera-ha raccontato Galatolo-era a libro paga dei Madonia, me lo disse mio zio Giuseppe Galatolo. Mi ricordo che dopo la strage di via d’Amelio c’era il dottor Arnaldo La Barbera che si muoveva nella nostra zona. Mio zio diceva anche che Gaetano Scotto dell’Arenella, aveva contatti con i servizi, ma non so se abbiano partecipato oppure no alle stragi.”
Secondo il racconto di Galatolo, è stato Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss ancora latitante, a scrivere ai capi palermitani nel dicembre 2012 per preparare l’attentato contro il giudice Di Matteo e a custodire parte dei due cento chili di tritolo acquistati c’era stato proprio il mafioso Graziano arrestato nel dicembre scorso. Il tritolo non è stato ancora trovato. Ma, secondo Galatolo, finché l’esplosivo è in circolazione, l’attentato contro il magistrato dell’accusa che indaga sula trattativa tra mafia e Stato rimane in fase operativa.