Si può immaginare che il nuovo presidente della nostra repubblica (sempre quella malgrado l’abitudine invincibile dei giornalisti a chiamarla prima, seconda o addirittura terza, secondo l’ultimo libro di Percy Allum) stia riflettendo su due cose una che segue all’altra. La prima è il discorso che dovrà pronunciare domattina con l’insediamento nella suprema magistratura dello Stato.
E nel quale dovrà sottolineare, come ha già fatto ieri, che l’Unione europea, il lavoro e l’occupazione, con le connesse difficoltà di tante famiglie italiane, sono i problemi che gli si presenteranno per primi nel nuovo ruolo a cui deve rifarsi.
Tra i primi che gli si presenteranno è il giudizio sulla legge elettorale approvata qualche giorno fa al senato e che dovrà ritornare alla Camera dei deputati per l’approvazione finale. E già su questo punto c’è da scommettere che non si tratterà di una decisione facile da prendere per corrispondere in pieno al compito presidenziale. Massimo Villone, professore di Diritto costituzionale all’Università Federico II di Napoli, fa una doppia ipotesi: la prima è che il presidente della Repubblica può attivarsi e prender l’iniziativa nel caso individui la manifesta incostituzionalità di una legge. Se trova questa vizio chiaro può comunicarlo alle Camere con un messaggio motivato chiedendo una nuova deliberazione. Ma, secondo la dottrina prevalente, se il parlamento dovesse riapprovare lo stesso testo, il capo dello Stato sarebbe costretto a promulgarlo.
Ma non c’è dubbio sul fatto che l’Italicum, nella sua ultima formulazione, è in contraddizione con quanto è stato scritto dai giudici costituzionali nella sentenza numero 1 del 20014. E, a mio avviso,-ha sottolineato il prof. Villone che su questo punto mi trova del tutto d’accordo- è palesemente incostituzionale confermando tutti i profili di illegittimità ai quali la Corte lega la decisione presa a suo tempo sul Porcellum e relativi alla rappresentatività delle assemblee e alla libertà e uguaglianza del diritto di voto come “il più fondamentale dei diritti.”
“La Corte-continua Villone- afferma che si può limitare la rappresentatività a vantaggio della governabilità ma se c’è un grande premio di maggioranza al 40 per cento e anche il ballottaggio finale a che cosa servono le soglie minime di ingresso (il 3 per cento). Sono un limite eccessivo che puntano a una semplificazione forzosa del sistema politico che si pone in contrasto con l’articolo 49 della Costituzione. Altri due aspetti sono problematici dal punto di vista della costituzionalità del testo e sono i capilista bloccati e le candidature plurime. Pensiamo a una lista in cui io do una preferenza a Marco Rossi e c’è una capolista che io non vorrei, ma che contribuisco inevitabilmente ad eleggere. Il mio voto è ancora libero ed eguale rispetto al voto di chi lo esprime volendo eleggere quel capolista? E’ un groviglio di elementi ognuno dei quali pesa sui principi enunciati dalla Corte. Con il vecchio testo del Mattarellum c’erano due voti separati: quello di collegio e quello proporzionale con lista bloccata alla Camera.
Il risultato era che la libertà era maggiore. Alla fine solo il partito vincitore avrebbe deputati eletti con le preferenze e gli altri sarebbero tutti eletti nel listino bloccati. E in questo modo il voto libero ed eguale sarebbe una finzione. Anche perché l’Italicum vale per la Camera e si intreccia con la riforma del Senato. Che è un Senato dei nominati e così si colpisce ancora il principio di rappresentanza dei cittadini e si aggrava il vizio sistemico.
L’elezione di Mattarella è stata una buona premessa per il rispetto della Carta e per i valori che la fondano. Tutto dipende alla fine dallo sciagurato patto del Nazareno.”
Anch’io la penso così. Nelle prossime settimane potremo finalmente avere le idee più chiare sul futuro della repubblica.