Puntuali , i casi di emarginazione delle camere all’interno di procedimenti legislativi si sono verificati senza troppo aspettare . Addirittura due , di spessore non comune : l’uno bell’e servito – la normazione delegata in tema del così chiamato jobs act -; l’altro per il momento solo evocato – nientemeno che la possibile riforma del servizio pubblico radiotelevisivo con decreto legge – , ma già tale da produrre un inevitabile fragore. Il quadro si completa – e gli esempi si susseguono con regolare frequenza – con la trasmissione di leggi compiute dalle sedi del governo alle camere , praticamente solo da votare , con voto unico e palese con il quale , ignorando l’argomento dell’intervento legislativo , si ribadisce la fiducia al governo da parte di un ramo del parlamento.
Il fenomeno complessivo ricorda un po’ , fatte le debite differenze e proporzioni , quello dell’etichettatura postuma con la quale si attribuisce il prestigio del ” made in Italy ” a prodotti confezionati fuori dei confini nazionali : le leggi figurano ” made in parlamento” , ma sono in realtà stipate di merci pigiate a forza dall’esterno .
Così i decreti legge , che l’art 77 della Costituzione consente al governo in casi di necessità ed urgenza , diventano pienamente legittimi quando , a torto o a ragione , il governo ha fretta di intervenire , magari su un problema vecchio di anni o di legislature . Così , altrettanto , le deleghe legislative che le camere concedono al governo sempre più frequentemente contengono criteri e princìpi talmente labili ed ambigui da fare della facoltà concessa all’esecutivo dall’art. 76 della Costituzione l’emblema di un furto di legislazione con l’aggravante della destrezza.
Tutto discende , o quasi , dai vizi contratti in un tempo lontano chiamato prima Repubblica , quando l’anomalia di una collocazione intangibile dei due grandi partiti , democrazia cristiana e partito comunista – l’uno sempre al governo , l’altro perennemente all’opposizione – veniva ripagata con la sostanziale rinunzia dell’esecutivo a imprimere del proprio segno la legislazione , perché contenesse il sigillo di due filosofie spesso contrapposte. Vizi che nel secondo tempo della Repubblica , congenitamente insofferente all’abbraccio parlamentare dei quarant’anni precedenti e forte del muro di Berlino da poco abbattuto , ci si è adoperati a liquidare : lasciando peraltro inalterata – per pigrizia , pragmatismo da disinteresse istituzionale , impotenza rovesciamenti improvvisi di tavolo o altro -, la lettera della carta costituzionale . Con il risultato di allargare , oltre la normale soglia di tolleranza , il solco tra la costituzione formale e quella materiale , realmente in uso.
Si potrebbe dire che da quasi sessant’anni il sistema politico e istituzionale è alla ricerca di un virtuoso equilibrio , nel nome della separazione dei poteri , tra governo e parlamento , avendo fin qui sperimentato e subìto dapprima un esecutivo parassita delle camere , lungo una quarantina d’anni ; quindi un parlamento parassita del governo nei successivi venti. Della separazione delle funzioni , corollario mai posto in discussione da alcuno , almeno formalmente , nemmeno l’ombra: la relazione tra i due organi costituzionali da più di mezzo secolo , a parti invertite , ricorda un grande viluppo ,a parti cangianti .
Soprattutto negli ultimi vent’anni – quelli in cui ci si è più allontanati , nella materia ,da quanto scritto in Costituzione – i tre capi dello Stato hanno fatto il possibile per venire in soccorso al soggetto esautorato , con le armi consentite dai provvisori controlli preventivi e successivi previsti in costituzione : autorizzazione alla presentazione , verifica dei presupposti , rinvio alle camere , e poco d’altro . E ha fatto il possibile la corte costituzionale , in modo quantitativamente più circoscritto , ovviamente , ma con poteri più penetranti . Entrambi gli organi attirandosi accuse , più velate nei confronti del primo , più veementi verso la seconda , di partigianeria politica , ma soprattutto di acquiescenza al presunto vero potere , quello giudiziario , divenuto per alcuni soggetto politico inattaccabile e irresponsabile , e al tempo dotato di armi pressochè letali nei confronti degli impropri avversari.
Il nuovo presidente della repubblica eredita dal predecessore , accanto a questo quadro di disfunzioni e rattoppi , un processo riformatore in via di conclusione , soprattutto proprio con riguardo alla funzione legislativa. Che il governo vuole legittimamente e doverosamente più sincronica con le esigenze del paese , quelle dei cittadini e quelle legate alle relazioni istituzionali , al punto da occhieggiare con cupidigia alla possibilità di fare della decretazione d’urgenza uno strumento di legislazione (quasi) ordinaria ; e da vedere la delegazione legislativa come la fuga da ogni controllo delle camere. Fin da oggi , a costituzione invariata.
Proprio il capo dello Stato , che entra in scena oggi senza alcun condizionamento , può favorire il ripristino , attraverso l’introduzione di un bicameralismo non più paritario , di una legislazione che , nel dare al governo un respiro più ampio , liberi il sistema dei maxiemendamenti , delle fiducie che suonano sfiducia , dei decreti legge fondati sull’impazienza e delle leggi di delega a campo aperto. Delle invasioni di campo , in sintesi .
Diversamente una domanda si impone , a fronte di questa situazione : perché gli insofferenti al sistema parlamentare , almeno sotto il profilo dei poteri del parlamento nella legislazione , da vent’anni a questa parte preferiscono il furto di legislazione con destrezza anziché promuovere la legalizzazione dello stesso , con i necessari annessi e connessi?