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Gli orfani di Ebola e i mali dell’Africa

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Charlesefta ha 17 anni e ha molta fretta di tornare a scuola. Lo ha confidato qualche tempo fa alla rappresentante UNICEF che è andata a trovarla nella sua casa in uno dei villaggi della Liberia. Charlesefta vuole diventare un medico e vuole studiare ma, ha detto con lo sguardo un po’ triste, era stanca di dover seguire le lezioni alla radio. Quelle lezioni con le quali l’UNICEF, e il ministero dell’educazione liberiano hanno cercato di colmare almeno in parte le lacune create dalla chiusura delle scuole a causa di ebola.

Gli studenti hanno perso moltissimo tempo, circa sette mesi, e le lezioni radiofoniche  potevano essere un modo per non perderne ancora di più.

Un’idea buona ma non ottimale che si è scontrata con la povertà disperante di quei paesi : le batterie per la radio costano, inoltre non tutte le famiglie ne hanno una…e comunque , povertà a parte, ascoltare le lezioni alla radio in solitudine non era poi certo la stessa cosa che stare seduti in una classe, parlare con i compagni, ridere, aiutarsi a vicenda..senza considerare che restare a casa ha significato per la maggior parte dei bambini essere chiamati ad aiutare a tempo pieno i genitori nel lavoro e nelle faccende domestiche …

Ma adesso, per fortuna, si torna a scuola. Con entusiasmo ma fra mille difficoltà e mille precauzioni, nei paesi colpiti da ebola le scuole con lentezza ma determinazione, stanno riaprendo.

L’odore dei disinfettanti inonda le aule, c’è l’obbligo di lavarsi le mani con il cloro, c’è anche un’attenzione quasi paranoica alla prima linea di febbre…

Racconta Claris, studentessa di 13 anni di Monrovia:”Abbiamo ancora tanta paura ma siamo felici di tornare a una vita normale. Avremmo voluto abbracciarci ma non possiamo. Tanti sorrisi e mani alzate, ma nessun contatto”.

La voglia di tornare alla normalità va oltre ogni cosa nonostante ebola abbia inciso una cicatrice profonda nelle società dei paesi colpiti.

Il virus ha lasciato dietro di sé 16,600 orfani di uno o entrambi i genitori. Migliaia di bambini che sono rimasti abbandonati a loro stessi ed esposti molto più degli altri non solo al contagio, ma anche al pericolo di sfruttamento di vario genere.

Per i primi tempi questi bambini sono stati tenuti lontano anche dalle loro comunità, impaurite dalla possibilità che potessero essere infetti. Ma anche grazie al lavoro fatto dalle organizzazioni internazionali presenti nei paese colpiti dal virus, molti di questi orfani sono stati accolti da una famiglia .

“Superato il primo periodo di paura e di idee sbagliate su ebola – racconta Manuel Fontaine , direttore regionale UNICEF per l’Africa centro occidentale- le famiglie hanno mostrato un’accoglienza incredibile, occupandosi e proteggendo quei bambini i cui genitori erano morti. Questo dimostra la forza dei legami di parentela -continua Fontaine- e la straordinaria capacità di ripresa della comunità in momenti così gravi”.

Una capacità di ripresa che si scontra però con difficoltà che non sono emergenze, in quella parte dell’Africa, ma problemi cronici che solo adesso balzano agli occhi di tutti.

In Liberia, ad esempio, sono più di 1 milione le persone che non hanno accesso all’acqua potabile e oltre 1.000 bambini muoiono ogni anno di diarrea causata dall’acqua contaminata. Più di 2 milioni di persone non hanno ancora accesso ai servizi igienici adeguati e oltre il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Qualcosa per fortuna si sta muovendo.

In queste settimane si stanno scavando pozzi per l’acqua e installando pompe in dieci scuole pubbliche di Monrovia, garantire così acqua potabile a oltre 5.000 studenti.

Una goccia nel mare, è proprio il caso di dirlo, ma meglio di niente.

A fare le spese maggiori delle condizioni drammatiche nei paesi colpiti da ebola, soprattutto i bambini : se infatti l’epidemia è in fase di contenimento, è importante ricordare che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanita’ sono circa 8 milioni e mezzo i bambini che vivono nelle aree colpite dal virus e di questi, almeno 2 milioni e mezzo sono al di sotto dei cinque anni. Bambini che, come dicevamo, non corrono solo il pericolo di essere contagiati, ma anche molti altri rischi.

Anche se l’epidemia sembra essersi fermata, è sempre sufficiente un solo caso di ebola per mettere in pericolo le vite di milioni di persone; e comunque l’impatto a lungo termine di questa crisi sullo sviluppo economico, sull’educazione, sull’occupazione e sui servizi sociali potrà essere contenuto solo se i paesi colpiti non resteranno isolati. I diritti di quei bambini, come l’accesso all’istruzione e a tutti i servizi sociali, dovrebbero essere garantiti come quelli dei bimbi del resto del mondo.

Il virus ebola ha scosso la comunità internazionale perché ha spaventato paesi fuori dall’Africa.

Questo ci ha costretti a guardare in faccia qualcosa che facevamo finta di non vedere, cioè che le situazioni drammatiche in Africa sono innumerevoli.

Tutte emergenze da affrontare e risolvere in fretta.Anche se non ci minacciano direttamente


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