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Gli effetti della crisi economica

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La mancanza di prospettive economiche ed occupazionali crea un forte disagio emotivo nella persona e ne mette in crisi l’identità e l’autostima.La crisi crea un contesto di instabilità, incertezza ed insicurezza per cui la persona sente vacillare i propri punti fermi e prova un forte senso d’ansietà. L’ansia è il vissuto tipico di quest’epoca, è ampiamente diffuso. E’ uno stato psichico caratterizzato da una sensazione di vaga e aspecifica preoccupazione, più o meno intensa e duratura, che può essere connessa alla mancata risposta di adattamento dell’organismo ad una fonte soggettiva di stress. Attualmente fonti di elevato stress possono essere la precarietà del lavoro, l’inoccupazione, l’incertezza di una solida stabilità.

L’ansia, complessa combinazione di emozioni negative quali paura, apprensione e preoccupazione, è spesso accompagnata da sensazioni fisiche come palpitazioni, dolori al petto, respiro corto, nausea. I segni somatici sono dovuti ad un’iperattività del sistema nervoso e alla classica risposta del sistema simpatico di tipo “combatti o fuggi”. Di conseguenza dal punto di vista comportamentale, si possono presentare sia comportamenti volontari sia involontari, diretti alla fuga o all’evitare la fonte dell’ansia, per cui la persona si blocca, non agisce, non cerca alternative, si rende impotente e inattivo.

Nel momento in cui si presentano delle costanti situazioni di precarietà, infatti, la sensazione di essere perennemente in balìa degli eventi, insieme all’ incapacità di potere raggiungere i propri obiettivi a medio e lungo termine, può condurre verso condizioni depressive o alterazioni del tono dell’umore, nonché sensi di colpa, mancanza di energie, disturbi del sonno e alterazione dell’appetito, visione pessimistica della vita, pensieri suicidari. Un’altra reazione emotiva tipica è la frustrazione:  quello stato psicologico derivante da un mancato o inibito bisogno, emerge quando si è bloccati o impediti nel soddisfacimento di un proprio desiderio. La condizione di crisi lavorativa rappresenta una forte minaccia alla progettualità dell’uomo e alla sua ricerca di equilibrio.

L’individuo, infatti, si costituisce una rappresentazione di sè, derivante dai ruoli che adotta all’interno dei gruppi significativi che sente propri (ad esempio in famiglia il ruolo di padre, nel lavoro “sono impiegato nell’azienda X”, professionalità “sono un avvocato” eccetera), sviluppando una sicurezza e un senso di appartenenza derivanti dall’integrazione e dal ruolo sociale, di cui anche il lavoro è fondamentale.
Il lavoro consente di assolvere i bisogni fondamentali, ovvero sostentamento, sicurezza, appartenenza, approvazione sociale ed autorealizzazione. Questi non vengono più soddisfatti quando questo viene a mancare e si è disoccupati, specialmente se questo status è prolungato nel tempo.

Da un punto di vista sociale, il passaggio ad uno stato di forte insicurezza, precariato e disoccupazione porta le persone a sentirsi vulnerabili, mettendo in crisi il senso di autonomia e di autodeterminazione. Le persone non si sentono più padrone della propria vita e fautrici del proprio percorso progettuale di vita. Questa percezione, di non aver più in mano le redini della propria vita, crea insicurezza e sviluppa un forte locus of control esterno, in cui le persone, non sentendosi determinanti in ciò che fanno e sentendosi insicure della propria vita, scaricano all’esterno il controllo. Attribuire al caso, alla fortuna, all’esterno o agli altri la responsabilità dei risultati toglie potere alla persona, che in caso di fallimento si sente impotente e sfortunata, distorcendo la realtà, autolimitandosi e togliendosi le reali possibilità e prospettive, e non riesce ad individuare elementi in cui poter agire, per poter superare le avversità. Viceversa, in caso di risultati positivi, se una persona trova lavoro diventa “fortunata” e non una persona che ha saputo affrontare positivamente un colloquio di lavoro o ha saputo sfruttare le opportunità e le relazioni sociali a favore del suo progetto di vita.

Questa visione non permette di sviluppare la resilienza, cioè l’adattamento alle avversità della vita che permette di rialzarsi sfruttando le proprie competenze, le proprie forze, con un atteggiamento volto al cambiamento, quando necessario, alla possibilità di capire come e quando correggere la rotta, riadattandosi in maniera creativa e flessibile al nuovo contesto.


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