Una delegazione di Articolo 21* ha partecipato lunedì 23 febbraio al ciclo di Audizioni promosso dalla Commissione per i diritti e i doveri di Internet istituita con scelta assai felice dalla Presidente della Camera dei deputati. La discussione si riferisce alla “Dichiarazione dei diritti in Internet” redatta da un gruppo di lavoro composto da parlamentari ed esperti presieduto da Stefano Rodotà. Si tratta di un articolato di quattordici punti, finalizzato a rendere più certa e garantita l’autonomia della rete e a valorizzare il diritto di accesso senza discriminazioni dei cittadini. Il “Bill of rights” riprende il filo della discussione iniziata nella sessione di Tunisi -2006- dell’”Internet Governance Forum” e nella specifica conferenza tenutasi l’anno seguente ad Atene. Recentemente (aprile 2014), il Brasile ha varato una legislazione assai evoluta –“Marco Civil da Internet”-.E svariati sono stati gli appuntamenti in Europa e nel mondo. La versione italiana finalmente è in dirittura d’arrivo e può costituire un riferimento per l’insieme della discussione. Né controlli censori o burocratici, né “anarchia”. Internet richiede una stagione progressiva del diritto, che superi la mera dialettica tra rincorse affannose a nuove leggi, o l’inerzia passiva. Certamente, il testo dovrà avere il conforto delle istituzioni sovranazionali, per non limitarsi ad una regolazione interna. E sarà doveroso un monitoraggio costante –supportato da una relazione annuale al Parlamento- per evitare che il tutto rimanga una mera intenzione astratta.
I suggerimenti proposti riguardano innanzitutto il Preambolo. Internet è un “bene comune”, come l’aria e come l’acqua; un tratto della cittadinanza dell’era digitale. Questo va aggiunto alle pur giuste e condivisibili considerazioni del Documento, per dare il senso di una vera e propria scelta storica. Così come la scuola o il voto per tutti, anche la rete non va considerata uno strumento d’élite, bensì una premessa essenziale per esercitare il complesso dei diritti. La neutralità della rete e l’accesso aperto sono le fondamenta dell’edificio democratico contemporaneo. Andrebbero aggiunti argomenti presenti nel dibattito dei paesi mediaticamente evoluti e da noi tuttora marginali: il software aperto e non proprietario; l’inclusione nell’ordinamento del FOIA (“Freedom of Information Act”), vale a dire la massima trasparenza delle e nelle procedure della Pubblica amministrazione. Così come va chiarito che, per evitare il rischio dell’allargamento del “digital divide”, è una assoluta priorità il dispiegamento sull’intero territorio della banda larga, per tutti. E si inserisca un punto di rilievo sull’importanza di una logica antitrust.
Un punto concreto riguarda, poi, il ruolo possibile del servizio pubblico radiotelevisivo, alla vigila del rinnovo della Concessione con lo Stato. Proprio alla Rai va attribuito il compito di guidare la nuova alfabetizzazione digitale degli italiani e di garantire la fruizione sociale delle diverse piattaforme di diffusione. Una Rai cross-mediale è la versione moderna di un servizio pubblico autentico e pluralista.
Ultima, ma non certo ultima, la questione del genere. Guai ad una rete dominata dai linguaggi e dagli stili solo maschili. Proprio l’innovazione tecnologica è il terreno di una doverosa svolta, che possa diventare un criterio per l’intero sistema della comunicazione.
Si faccia presto, dunque, per risollevare la deficitaria situazione dei media nazionali. E’ un capitolo cruciale delle libertà. Guai a commettere errori di sottovalutazione analoghi a quelli che, negli anni settanta, il ceto politico commise nei riguardi della radiotelevisione. Ancora ne paghiamo gli effetti, diretti e collaterali; e il conflitto di interessi è ormai la fisiologia della crisi italiana.
* la delegazione di Articolo21 era composta da Vincenzo Vita, Tommaso Fulfaro, Stefano Corradino, Elio Matarazzo