A lanciare l’iniziativa è l’associazione “Terre libere”. La petizione riguarda in primo luogo le 16 maggiori catene italiane di ipermercati, ai quali è stato chiesto di apporre sui prodotti etichette “trasparenti” che informino su ogni passaggio della filiera
TORINO – Un parassita alimentare, che dagli uliveti di Rosarno è arrivato fino alle vigne dell’astigiano, finendo così per infettare una parte consistente della produzione italiana. Che sfruttamento e caporalato non interessassero più la sola Italia meridionale si sospettava da tempo; la più grande e definitiva conferma è arrivata l’anno scorso, con la scoperta della baraccopoli di Canelli (Asti), dove migliaia di braccianti africani ed esteuropei vivevano ammassati in attesa della chiamata dei caporali, per una paga che nei casi migliori arrivava a 4 euro l’ora.
E così, man mano che il virus dello sfruttamento si espande, cresce anche il rischio di finire per finanziarne la filiera. Per questo, l’associazione Terre libere – che dal 1999 produce informazione sul tema attraverso una casa editrice e una testata giornalistica online – ha lanciato una petizione, chiedendo alle 16 maggiori catene di ipermercati presenti sul suolo italiano di garantire che ogni prodotto presente sui loro scaffali non sia frutto di pratiche di schiavismo.
“L’immagine dell’agroalimentare italiano – scrivono dalla casa editrice – è già ampiamente deteriorata e non c’è tempo da perdere. La stampa tedesca, con Der Spiegel, ha dato ampio spazio alle condizioni disumane delle raccolte in Italia; in Norvegia si è discusso del boicottaggio del pomodoro proveniente dal nostro paese; una inchiesta in prima serata di France 2 ha scosso l’opinione pubblica transalpina. Subito dopo il sindacalista Yvan Sagnet ha proposto il boicottaggio dei supermercati italiani”.
Per questo, nella sua petizione, Terre libere ha chiesto catene italiane di apporre sui propri prodotti un’etichetta che informi dettagliatamente su ogni passaggio della filiera: attualmente i firmatari sono circa 1500, ma l’unica azienda a rispondere è stata la Coop, che dopo l’inchiesta della tv francese, ha garantito sui propri prodotti dicendosi pronta a intervenire sugli altri, qualora fossero dimostrate delle irregolarità.
“Il punto – spiega Antonello Mangano di Terre libere – è che bisogna iniziare a comprendere che lo sfruttamento è un fenomeno che origina dall’alto, dal momento che i ricavi non finiscono soltanto nelle tasche di caporali e organizzazioni criminali, ma sono distribuiti lungo tutta la catena produttiva e distributiva. Spesso, i prodotti derivanti da queste pratiche comportano un risparmio per i grossisti, per le catene e per i consumatori; ma noi siamo convinti che questi ultimi, se informati bene, preferiranno comunque evitare di finanziare queste organizzazioni para-schiaviste”.
Per informazioni e per firmare la petizione: www.terrelibere.org/4704-virus-lavoro-schiavile/. (ams)