Prima fu Tony Blair, sul finire dei ruggenti anni Novanta, quando andava di moda la Terza via e fior di intellettuali ci raccontavano le “magnifiche sorti e progressive” del liberismo, arrivando addirittura a definirlo “di sinistra”. Poi fu la volta di Zapatero, quando dalla Gran Bretagna ci si trasferì in Spagna e qualcuno iniziò a dubitare che la dottrina blairiana, basata sull’incremento delle disuguaglianze e l’esclusione dei più deboli, fosse una ricetta in grado di far ripartire un’Europa che già allora, tre anni prima dello scoppio della crisi, dava chiari segni di affanno e di cedimento. Infine, fu la volta di Hollande, mentre la Grecia era sconvolta dalle ricette della Troika, la Spagna era tornata saldamente in mano a una destra filo-merkeliana e in Italia ci eravamo affidati alle ricette “salvifiche” dei tecnici (utili unicamente a far crescere di venti punti percentuali un movimento populista, gonfiatosi all’inverosimile a causa degli errori e dei fallimenti di una sinistra prigioniera della paura di essere se stessa). Oggi, tre anni dopo, è la volta di Alexis Tsipras, il giovane leader di una sinistra che, dopo trent’anni di subalternità culturale e ideologica, sembra finalmente non aver più paura di presentarsi con un volto e delle proposte corrispondenti alla sua storia, ai suoi ceti di riferimento e alle richieste delle classi sociali più deboli e martoriate da quest’orgia di falsa meritocrazia che altro non è che la conservazione prepotente e gattopardesca del potere di pochi oligarchi sempre più ricchi a scapito di moltitudini di poveri sempre più poveri.
Tsipras vince e questa è senz’altro un’ottima notizia: attesa da tempo, sperata e giustamente accolta con il favore e l’entusiasmo che merita, se non altro per la sensazione che una nuova generazione di politici sia finalmente pronta ad affacciarsi sulla scena, senza annunciare sfracelli o rottamazioni ma badando al concreto, alla realtà di una società allo stremo, invertendo la rotta senza troppo clamore e preferendo una sana azione di governo a inutili proclami, rivelatasi, nel tempo, la pura e semplice conservazione dell’esistente sotto altre spoglie. Un quarantenne diverso dai nostri, dunque, un quarantenne combattivo e propositivo, capace di svolgere un’azione di ricucitura di un tessuto sociale sfibrato dalla disperazione e dall’indigenza e di cogliere i frutti di un lavoro durato anni, passato attraverso mille ostacoli e difficoltà e basatosi su una coerente e tenace opposizione ai “memorandum” della Troika che hanno sfregiato la dignità di un Paese cui tutti noi dovremmo guardare, invece, con ammirazione e riconoscenza, in quanto culla della nostra civiltà e punto di riferimento di coloro che, anziché arrendersi, come in parte ha fatto anche la “sinistra ufficiale”, hanno compiuto una meritoria azione di costruzione di un pensiero politico e di un immaginario collettivo alternativo al baratro cui molti ci ripetevano che eravamo ormai condannati senza appello.
Detto questo, attenzione perché l’attività di governo del nuovo idolo di chi sogna un’Europa diversa, rispondente ai progetti, alle idee e allo spirito dei suoi padri fondatori, sarà tutt’altro che agevole. Innanzitutto, è bene sottolineare che il potere gattopardesco di cui prima farà il possibile e l’impossibile per ostacolarlo e impedirgli di attuare la parte più innovativa e autenticamente rivoluzionaria del suo programma. In secondo luogo, per quanto riguarda l’Italia, occhio a illudersi che si possa costruire l’equivalente di Syriza in poche settimane perché non è così, e la sinistra che abbiamo visto finora in azione alle nostre latitudini, compresa quella più onesta intellettualmente e animata dalle migliori intenzioni, è lontana anni luce dalla solidità e dalla lungimiranza politica e programmatica che abbiamo ammirato nelle proposte del leader greco che può, quindi, essere preso a modello ma non imitato acriticamente, anche perché ogni paese ha il suo quadro sociale e il suo contesto economico e il nostro, per fortuna, è sì difficile ma non ancora tragico come quello ellenico. In conclusione, espressi i doverosi auspici e la cautela di giudizio che si impone ogni volta che si affaccia sulla scena un personaggio politico caratterizzato da attese messianiche, è d’obbligo sottolineare che l’affermazione di Syriza in Grecia, l’avanzata di Podemos in Spagna e la versione socialista di un Obama meno “anatra zoppa” di quanto si temesse, costituiscono un ottimo terreno di coltura per programmare e, possibilmente, attuare quel cambio di paradigma socio-economico senza il quale l’Occidente è condannato al declino e alla marginalità.
L’importante, visto che abbiamo citato Obama, è non illudersi dell’onnipotenza del Messia di turno nel momento del trionfo e non darlo per finito quando, inevitabilmente, si vede costretto dal normale corso delle cose a suscitare una cospicua dose di delusione e disincanto. Equilibrio: questa è la parola magica di cui abbiamo bisogno se davvero vogliamo dar vita a una Syriza italiana, capace di costituire quell’asse euro-mediterraneo in grado di sfidare il rigorismo nordico e restituire una speranza all’ambizioso progetto di un’unione politica.