Dopo Le Monde ieri pomeriggio, “L’Europa si prepara alla vittoria di Syriza”, anche il Corriere apre oggi con la Grecia, “Sfida di Tsipras all’Europa”. Come mai si guarda ora ad Atene con attesa, se non addiruttura con fiducia? Perché l’Europa è cambiata, dopo la scelta compiuta da “Super Mario” -così Krugman chiama Draghi sul New York Times. L’Europa ha deciso di combattere la deflazione, svalutare l’euro, provare a spostare risorse da chi fabbrica soldi con i soldi a chi produce beni e servizi. Insomma ha deciso di esistere come potenza economica. E ciò pone, con un’urgenza mai vista prima, la questione politica europea.
Draghi lo ripete senza sosta: servono forme comuni di governo e controlli comuni. Condivisione degli obiettivi (burocrazia friendly, lotta alla corruzione, una politica fiscale, sostegno all’industria che investe sul futuro, interventi per migliorare la produttività) e strutture di controllo condivise. Sono queste le riforme, ma la prima è la fiducia, cioè la ricostruzione del rapporto sentimentale tra Europa e cittadino. Qui entrano in ballo Tsipras e Syriza, Iglesias e Podemos. Chiedono più democrazia, rispetto dei lavoratori e dei consumatori, gestione comune dei debiti, lotta al vampiro-corruzione e alla volgarità sfrenata del privilegio
Invece la Troika, il governo federale tedesco e, in batteria, gli altri governi sono apparsi per troppo tempo difensori dell’uno per cento dei ricchi sfondati, hanno accettato che i popoli dovessero pagare tutti i debiti contratti in loro nome senza che i cerditori rischiassero un euro degli interessi estorti. Si chiama subalternità al neo liberismo, politica ormai anacronistica che rinuncia al consenso e alla partecipazione democratica dei lavoratori, dei giovani e della classe media, per cederlo a partiti xenofobi che vorrebbero cacciare gli stranieri (“meno 5 milioni di occupati in Germani, dunque 5 milioni di ebrei di troppo” Hitler) che invocano dazi e armi e leggi liberticide a protezione degli interessi materiali trascurati dal liberismo di destra e sinistra.
La sinistra radicale ha appreso la lezione di Occupy Wall Street – ricordate? We are the 99% – e ha fatto tesoro delle primavere arabe, ripetendone il grido contro le borghesie corrotte tuttì uno con il potere politico. Ma “la storia della sinistra europea – scrive Marc Lazar su repubblica – è contrassegnata dalle ricorrenti rivalità tra due sinistre” e sempre in passato “la socialdemocrazia ha saputo assorbire, più o meno facilmente, queste contestazioni”. Vero, ma per riuscirci questa volta “dovrebbe essere in grado di riprendere contatto con tutta una parte della società che ha perso di vista, dai ceti popolari e dai giovani”.
Vasto programma. Perché decenni di subalternità alle “regole del mercato”, decenni d’invidia per le magnifiche sorti e progressive del liberismo, decenni in cui ci si è posti il problema di “comunicare” come la destra, hanno prodotto una evidente mutazione antropologica nel personale politico della sinistra di governo. Da qui il tradimento dei 101, da qui l’inciucio per governare a tutti i costi, il trasformismo di chi diffidava di un Presidente eletto direttamente e ora vuole il Sindaco d’Italia. Da qui i pori larghi da cui sono penetrate nella sinistra, in anni di esercizio del potere locale, dosi per niente omeopatiche di corruzione.
Ma in Italia una sinistra nuova non si vede. C’è stato il M5S, ma Grillo l’ha portato nelle secche del no-euro e del no-tutti. Poi Renzi ha provato a succhiargli il sangue dal governo, ma il Patto del Nazareno è il suo tallone d’Achille. A proposito, Gramellini oggi sfotte Civati, Vendola e – si parva licet – anche me, per la proposta di un Presidente Non Nazareno. “Ancora una volta un’iniziativa politica – scrive – costruita contro qualcuno anziché intorno a qualcosa”. Invece di chiedere “una personalità che non paghi cambiali a B. e non proceda dietro Renzi Sindaco d’Italia” avrei potuto fare dei nomi: Rodotà, Prodi, Carlassarre, Ciotti, Bindi. Il Corriere non mi avrebbe ripreso. Perché o sei nazareno o dissidente, Tertium non datur. Caro Gramellini, discutiamo anche del rapporto media-politica.
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