Si può fare dell’ironia sul Sacro di qualcun altro?

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E nel cimitero degli insuccessi molte tombe sono frutto della spocchia. (cit. A. Visciani)

A un paio di giorni dal massacro di Charlie Hebdo ho finalmente chiaro quel che voglio dire. Non perché sia indispensabile pronunciarsi su qualunque cosa succeda, anzi a volte è meglio non farlo, ma perché per me da subito è stato necessario capire. Non starò a spiegare l’ovvio: chi imbraccia un fucile per far valere le proprie ragioni, qualunque esse siano, è incommentabile, ingiustificabile e forse non merita neanche qualche secondo di comprensione. Se bisogna stare a spiegare l’ovvio, come ebbe a dire una mia saggia amica, allora è evidente che sono nel posto sbagliato.

Dopo lo stordimento e il dolore ha cominciato a venire a galla un’altra questione, una questione che non mi sarei mai aspettata di dover prendere in considerazione perché fino all’altro ieri, forse, avevo ben chiara cosa fosse la libertà di espressione. Dopo quanto è successo a Parigi, invece, ho cominciato a essere un po’ confusa. Allora ho avuto bisogno di un confronto e l’ho cercato su Facebook, lì stavano già tutti indossando il lutto, tutti stavano già dicendo di essere Charlie Hebdo, anche quelli che ieri erano Mango, Joe Cocker e Pino Daniele. Ho aperto una discussione chiedendo pubblicamente quello che mi premeva chiarire nella mia mente: Può essere considerata satira pisciare allegramente sopra qualcosa che per un’intera cultura è considerata Sacro?
Dire che ho incontrato resistenza è usare un eufemismo, ma lentamente stava emergendo qualcosa di molto interessante.

Secondo Wikipedia la definizione di “satira” è stata data anche dalla nostra Corte di Cassazione che l’ha giuridicamente definita: «Una manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene». Non mi sembrava proprio il caso delle vignette in questione che però ormai erano diventate il simbolo di qualcos’altro, più che di “satira” si trattava di libertà di espressione. Allora il punto era diventato: Può essere “libertà di espressione” offendere a morte e dissacrare per il gusto di dissacrare, un’intera cultura?

Non conoscevo prima di ieri il giornale satirico parigino, non avevo mai visto le sue vignette, ho rapidamente rimediato con una carrellata veloce su internet in cui certamente il senso profondo del messaggio non l’ho colto ma allo stesso modo non ne ho colto l’ironia. Comunque quello che mi premeva sapere stava sempre più prendendo forma: si può fare dell’ironia sul Sacro di qualcun altro?
Ahimè, la questione è proprio una di quelle lasciate al buonsenso umano e non regolate da leggi e pertanto è destinata a fallire. Gli uomini, si sa, non sanno regolarsi da soli perché quello che per qualcuno è libertà, per qualcun altro è offesa. Forse basterebbe tenere a mente quella piccola accortezza: “la mia libertà finisce laddove comincia la tua” ma avrebbe presupposto rispetto e tolleranza che non sono doti umane.

Mentre commentavo cercando di arrivare a capo della questione, ho dovuto divergere per spiegare che non stavo affatto dicendo che al giornale se l’erano cercata e no, che per me non era come dire che una donna che va in giro in minigonna la sera merita di essere stuprata. Davvero non starò qui a spiegare che il diritto di sentirsi liberi di indossare quel che si vuole non è proprio come l’aver diritto di schiaffeggiare moralmente qualcuno. Ma per fare questo bisogna presupporre un’apertura mentale, una disponibilità al dialogo e la presa di coscienza che moltissime di quelle cose che sono state definite “satira” non avevano nulla a che fare con quel “carattere etico” della definizione giuridica della Corte di Cassazione.
Ed ecco il punto vero, la mia scoperta sensazionale: Sembrava ovvio, dallo scambio di commenti che stavo avendo su Facebook, che la satira avesse il diritto di dissacrare (anche quando più che dissacrare lì si trattava di offendere) perché faceva parte della libertà democratica. E però io non avevo diritto di poter contestare quel tipo di satira perché altrimenti ero antidemocratica, una vergogna per il mondo laico, un’antifemminista perché difendevo una cultura che maltratta le donne e un’amica del terrorismo. Così, in breve, la luce: siamo tutti talebani. Ognuno di noi ha un tallone d’Achille, una zona di tolleranza limitata, un confine e un tabù toccato il quale siamo pronti ad aggredire.
Nel frattempo non vedo l’ora di riappropriarmi del mio nome e smettere, ogni giorno, di essere qualcuno da commemorare.


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