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Scissione sì, scissione no. Caffè del 22

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“Una cosa è appoggiarsi a Berlusconi, una cosa è mettersi nelle sue mani” osserva Antonio Polito, in un articolo di fondo dal titolo “Partito del Nazareno”. Quale delle due? Renzi si è appoggiato a Berlusconi per aggirare una minoranza Pd inconcludente e perditempo, o si è messo nelle mani delle logge e dei comitati d’affari, di  Verdini e di Berlusconi? Repubblica: “Italicum, sconfitti i dissidenti Pd. Sì al Senato con i voti di Berlusconi”. “Terremoto sull’Italicum” premette il Gironale e titola: “La scissione dei parassiti”.  Parassiti saremmo noi “dissidenti”, ci ha chiamato cosi nientemeno che Stefano Esposito, quello del sì TAV e delle lettere minatorie che chissà chi gli ha mandato, quello dell’emendamento ad altissima velocità – solo 33 righe per far digerire l’Italicum al Senato senza sottoporlo al confronto. Secondo il Fatto Quotidiano è “Pronto il governo Renzi-B. Dopo la presa del Quirinale”.

Il mondo cambia, Financial Times e Il Pais aprono sul Quantitative easing, 50 miliardi al mese della BCE per acquistare titoli di stato. “Obama riscopre la sinistra” scrive Repubblica; “Il presidente gioca all’attacco su tasse ed economia”, fa eco il Corriere. La Grecia sta per votare, la Spagna lo farà entro l’anno, e sia a est che a ovest del Belpaese potrebbe vincere la sinistra Syriza e Podemos, con i socialisti ridotti a un ruolo ancillare. Noi affondiamo nelle sabbie mobili del Nazareno, nel garbuglio della ricerca di un Presidente disposto a riabilitare Berlusconi e a non moderare il potere del premier, o ci dilettiamo con la modica quantità dell’evasione depenalizzata dal decreto di Natale.

Il catalogo è questo. Ieri ho partecipato a una riunione delle minoranze Pd: un centinaio di parlamentari, da Civati a Bersani – entrambi sono andati via prima della fine-, da Fassina a Tocci, da Gotor a Cuperlo. Posizioni diverse. In molti la paura di dover lasciare “la ditta” – sarà come la mamma del Papa! In altri l’eco della domanda che tanti ci fanno: “ma cosa fate ancora lì”. Tuttavia, pure con diversi accenti e sfumature, mi è parso che tutti condividessimo una comune preoccupazione: che il Parlamento che le riforme prefigurano non sia più snello ed efficiente, ma invece più debole e meno autonomo dal Governo. Il ché, letto insieme alla nascita di una nuova e più organica intesa Renzi Berlusconi, è piuttosto inquietante. Si è parlato di Quirinale. Ci vuole – è stato detto – una personalità autonoma dall’esecutivo, garante della Costituzione, con un profilo internazionale, ma anche capace di costruire un rapporto empatico con l’Italia vera, fuori dal palazzo.

Sarà questo il profilo della proposta Renzi? Berlusconi ha mostrato di saperci fare: ha indicato Martino (il miglior nome di cui la destra dispone), caricherà poi su Renzi il costo dell’inciucio. E la sinistra non ha una sua bandiera? Ogni nome, da Prodi a Rodotà, deve prima superare la censura preventiva? Ma questo lo saprà che la Costituzione è cambiata, e si farà ben volere da Sacconi, e si terrà un passo dietro al premier? Davvero non ho il profilo del franco tiratore. Quando, nel 2013, non ho votato Marini (perché bruciato da sì troppo entusiasta di Berlusconi) l’ho detto in faccia a Bersani all’assemblea dei grandi elettori. Non mi sono riunito in sede separata (come Nardella, Lotti &C) con l’obiettivo di impallinare il segretario. Né, come ha fatto Renzi, ho subito incassato il tradimento dei 101 dicendo che Prodi era ormai bruciato (dopo una sola votazione) e che la sua candidatura da accantonare.

Lo so, non è esaltante questa battaglia di minoranza né potrà ignorare a lungo le ragioni della sinistra che si manifesta in Europa e nel mondo. Però la “scissione”, come piace agli amici del premier e a certi giornali, somiglia piuttosto a una rinuncia, l’uscita di scena a testa bassa di un gruppeto di conservatori e malmostosi. E non è questo che serve al Paese, alla sinistra e neppure al Pd.

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