Per le strade della sua diocesi si muove perfino in motocicletta. Francesco Montenegro, “don Franco” per gli agrigentini e per gli immigrati a cui dedica gran parte del suo impegno pastorale, diventerà cardinale. La sua personalità, tra quelle dei cinque vescovi italiani appena nominati per il concistoro del 14 febbraio, è forse quella più rappresentativa della svolta impressa da Papa Francesco a questo pontificato. Non per la moto naturalmente, ma per la sensibilità sociale e politica che ha sempre manifestato verso la condizione e le attese dei poveri e degli esclusi.
E’ stato per cinque anni, dal 2003 al 2008, presidente della Caritas italiana. Dal 2013 è a capo della Commissione episcopale siciliana per le migrazioni e della Fondazione Migrantes. Dove non si limita a predicare l’accoglienza, ma chiede insistentemente all’Italia e all’Europa di ridurre sempre più la permanenza nei Centri (di identificazione e di espulsione) e garantire invece strumenti più idonei a una vera integrazione.
“Se io fossi un migrante di 20-30 anni che deve stare tutta la giornata senza far niente, ad aspettare una risposta sul proprio futuro – ha dichiarato in un’intervista – dopo alcuni giorni mi incattivirei anche io! Sono dei ragazzoni che avrebbero voglia di fare qualcosa con i nostri ragazzi e non gli è permesso. Sono costretti invece a stare dentro i centri di accoglienza senza far niente per mesi, a guardare la strada e il cielo. E pretendiamo pure che diventino lindi e pinti? Questa sarebbe accoglienza?”
E se tra i migranti ci fosse qualcuno dell’ISIS? Lo ha provocato qualcuno. Ma l’arcivescovo di Agrigento non si è affatto turbato. “E’ possibile che ci siano infiltrati Isis sui barconi in arrivo dal nord Africa – ha risposto – il mondo è sempre un miscuglio di bene e di male. Bisogna esser capaci di fare dei buoni controlli e saper filtrare. Quando sono partiti i nostri migranti verso l’America o altri Paesi, noi abbiamo esportato i mafiosi. E’ stato un rischio anche allora. Forse dovremmo essere meno colonizzatori e cercare di investire in quelle terre pensando anche al bene di quella gente e non soltanto ai nostri interessi”.
Anche sui Cie Montenegro non ha esitazioni a rispondere. Lampedusa è nel territorio della sua diocesi. “I Cie devono essere chiusi. Non consentono una vita dignitosa. E i soldi investiti nei centri andrebbero utilizzati per rafforzare le politiche d’integrazione. Quanto a Lampedusa, è il simbolo della fallimentare politica in tema di immigrazione portata avanti nel nostro Paese. Un’isola che spesso, a causa delle cattive condizioni meteo, rischia di rimanere isolata, non può essere luogo di accoglienza”.
L’Europa dovrebbe prendere più a cuore il dramma degli immigrati. “Non può chiudersi in se stessa, come in una fortezza pensando di tutelarsi così per il proprio futuro che, invece, è solo globale e si costruisce soltanto insieme. Purtroppo nell’anno appena trascorso ha diminuito gli aiuti allo sviluppo e alla cooperazione internazionale e, da parte sua, l’Italia lo ha fatto di oltre il 20%. Non si può predicare sviluppo e poi ridurre gli strumenti e i mezzi di cooperazione internazionale”.
“L’Europa si regge non sui volti degli uomini, ma sull’economia – aveva detto a un convegno sulle politiche europee dell’immigrazione al Palazzo dei Normanni di Palermo – Il rischio, quando si parla di immigrati è che diventino statistiche, numeri e fino a qualche tempo fa anche criminali, invece che uomini e donne che hanno diritto di vivere”. E qui entrano in ballo anche le responsabilità di noi giornalisti: “Mi chiedo perché bisogna morire perchè al fenomeno migratorio sia data attenzione. Ci siamo sconsolati per i 300 morti del naufragio del 3 ottobre a Lampedusa, quelle vittime sono diventate famose, ma gli oltre 20mila morti in fondo al mare restano sconosciuti. Molti di loro sono morti con le mani giunte, pregando”.
Insomma, una pastorale e un parlare diretto che si sposano bene con la linea e lo stile di Papa Francesco. Sarà lui il successore? Comunque si può essere certi che la sua nomina a cardinale porterà un utile contributo a quel rinnovamento ecclesiale ed ecclesiastico che Bergoglio porta avanti con grande determinazione. Con preoccupazione di alcuni, dentro e fuori della Curia romana. E secondo l’ editoriale apparso recentemente sulla prima pagina del Corriere della Sera, per l’inconfondibile penna di Vittorio Messori, provocando sconcerto nel “cattolico medio”.