“Il trionfo di Tsipras in Grecia è il più grande successo della sinistra italiana dai tempi di Zapatero in Spagna”. In questo cinico tweet del blog satirico collettivo Spinoza.it c’è forse la migliore e più sprezzante critica al provincialismo nostrano nell’approccio alle questioni politiche internazionali.
Insomma, Syriza ha vinto le elezioni politiche oltre Ionio (piccola soddisfazione personale: chiamare quella terra μετα τον ποντον), festeggiando in piazza sulle note di “Bella ciao”, per di più nella versione dei Modena City Ramblers. Da noi, sinistra in giubilo. Poi ieri, siccome 149 deputati non bastavano, l’accordo con AnEL. Qui, curiosi silenzi sinistri, quando non improponibili paralleli con le larghe intese, insostenibili come quelli con i progetti cantierati nello scenario radicale e progressista italico. E provare a guardare le cose per quello che sono nel luogo in cui accadono, non giudicandole dalle traduzione improprie che se ne possono fare?
Chiariamoci, anche io penso che l’affermazione di Tsipras sia un segnale importante ben oltre e al di là della Grecia, ma è innanzitutto un fenomeno e un risultato che è accaduto lì. Così come la trattativa con AnEL è inspiegabile nelle logiche degli emuli italiani del giovane greco, un po’ meno all’ombra del Partenone, come ha spiegato bene lunedì Ettore Livini sul sito de la Repubblica. In sintesi, solo gli indipendenti e fuoriusciti da Nea Demokratia garantivano a Tsipras di formare un governo subito e di provare a portare all’incasso i principali provvedimenti fortemente osteggiati nei memorandum imposti dalla Troika europea che aveva promesso in campagna elettorale, dalla tredicesima per i pensionati più poveri all’aumento dello stipendio minimo, passando per i buoni pasti e il ripristino dell’assistenza sanitaria universale e fino agli aiuti per i costi dell’energia elettrica e il blocco degli sfratti; pensate a questi provvedimenti, e poi provate a incastrarli sullo schema delle nostre larghe intese o della teutonica Grosse Koalition.
Per il resto, immagino che Tsipras e Kammenos siano i primi a conoscere le profonde differenze fra i loro partiti, e magari sanno che non durerà a lungo il loro sodalizio. Però il leader di Syriza sapeva anche che se avesse provato a inseguire un rapporto con i fuoriusciti a sinistra dal Pasok, To Potami, con i comunisti del Kke o con i socialisti del Pasok stesso, per realizzare quelle riforme fortemente sociali e giustamente radicali, e di sinistra, avrebbe dovuto aspettare le calende, greche, appunto.
Ma la più forzata di tutte le interpretazioni date con gli occhiali sbagliati è quella che legge il successo di Tsipras come la dimostrazione della bontà di un progetto che metta insieme tutto il ceto e le organizzazioni politiche che ci sono alla sinistra del Pd in Italia. Syriza non l’hanno fatta in un laboratorio politico, è stata costruita nella pratica di una coalizione sociale.
È l’esercizio del mutualismo di base che le ha dato credibilità fra il ceto medio ridotto a cercarsi da sopravvivere nella spazzatura. È l’esempio reale dei suoi leader e militanti fra i mercati e nei quartieri popolari che l’ha fatta percepire vicina e alleata da quelle fasce di popolazione che poi l’hanno scelta e sostenuta. È l’impegno per la realizzazione di mense e cliniche gratuite per i più poveri e in difficoltà, di farmacie per i disoccupati e di progetti cooperativi e solidaristici che l’ha resa un punto di riferimento sicuro e concreto per chi aveva bisogno che la politica si interessasse a lui e ai suoi bisogni e non solo e non tanto alle banche, alla finanza e ai palazzi del potere.
Se l’esperienza greca servirà per riattivare quel lavoro sul terreno e nella società, allora sarà stata un grande successo pure per il nostro Paese. Se invece a essa si guarderà come slogan per la costruzione di un Frankenstein politico assemblandolo con pezzi esistenti e ritrovati, sarà stata di nuovo, e ancora, un’occasione sprecata per il nostro carattere nazionale e per la miopia tristemente arroccata sui terreni conosciuti che da troppo tempo ci connota.
Certo, è un cammino lungo e faticoso, soprattutto difficile e non scontato nell’avvio, nel percorso e negli effetti. Ancora di più, è un viaggio che richiede tempo e pazienza. Dopotutto, alla fin fine, che fretta abbiamo?