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L’eredità di Napolitano

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Nel momento in cui manca soltanto una settimana al primo giorno di votazioni per eleggere il successo di Giorgio Napolitano da parte delle due Camere riunite, vale  la pena ricordare una massima particolarmente adatta alla grave crisi della Repubblica che si è dipanata negli ultimi sette anni e che non accenna a finire né ad essere superata dalle forze politiche decisive della nostra (II o III  repubblica): ogni presidente scrive la storia ma è anche la storia a scrivere i presidenti. Ciascuno di loro è figlio di una particolare stagione politica e soltanto alla luce della stagione in cui si inseriscono è possibile tracciarne la storia. Questo è da tener presente in primo luogo quando saremo in grado di stendere a mente fredda un giudizio sull’esperienza di Giorgio Napolitano mentre stiamo pensando intensamente a chi gli succederà. Anche perché il  recente passato dimostra che l’uomo che uscirà dal Colle dopo sette anni di mandato sarà un uomo diverso da quello che vi è entrato.

Il caso più palese fu quello di Francesco Cossiga che per i primi cinque anni di mandato fu silenzioso e ossequiente ma dal 1990 si trasforma in “picconatore” del sistema  sale sul ring a scontrarsi con i magistrati, blocca sistematicamente le leggi approvate dalle Camere con la media di un rinvio a bimestre. Ma anche il suo successore, Oscar Luigi Scalfaro, promette di ripristinare la centralità del Parlamento, garantendo l’autocontrollo, nell’esercizio e delle proprie funzioni e diventa il più interventista dei nostri presidenti. Scalfaro nomina sei presidenti del Consiglio, tra i quali almeno tre (Amato, Ciampi e Dini) posti sotto l’esplicita tutela presidenziale. Decide due interruzioni anticipate della legislatura, compresa quella davvero eccezionale del 1994 benché il Parlamento  fosse davvero in condizione di esprimere una maggioranza a sostegno del governo in carica. E non si possono dimenticare, in un simile esercizio di memo ria, il caso di Antonio Sogni che esordisce nel 1962 usando per otto volte, nel primo biennio della sua presidenza, il potere di rinvio dopo che nelle precedenti sette presidenze le leggi rispedite alla Camera erano state appena sette. E ricordare anche che nel 1964 Segni riceve ufficialmente al Quirinale il comandante dei carabinieri De Lorenzo che è – come è noto – l’artefice massimo del piano Solo. Un costituzionalista che chi scrive ha conosciuto come Carlo Esposito (io preferivo discutere con Costantino Mortati ma ho sempre apprezzato l’intelligenza e l’acume di Esposito)ha predetto che l’esperienza e la capacità  di un presidente è particolarmente  importante durante le crisi di sistema (e quella attuale-tra i populismi che impazzano e il desiderio di una parte di uscirne-lo è sicuramente).

Staremo a vedere ma tutto dipenderà, come sempre, dagli uomini e dalle circostanze, dalla lucidità con cui la crisi sarà affrontate e quale strada si imboccherà.  Una cosa vale la pena sottolineare ancora una volta: non illudersi di risolvere il problema mettendosi d’accordo con il diavolo per far presto. E’ necessario cercare con coraggio e intelligenza qualcuno (o qualcuna) in grado di guidare una barca come quella italiana in un passaggio stretto tra molti pericoli e, avendo di fronte, ambizioni evidenti e, a volte, poco giustificate. Meglio litigare che andare tutti insieme o quasi verso un ulteriore aggravamento della crisi politica e istituzionale.


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