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La mafia turca nel traffico di migranti verso l’Italia

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di Piero Innocenti

Gli ultimi arrivi di migranti, di dicembre e dei primi giorni del 2015, sulle coste pugliesi e calabre,  dopo le traversate fatte su navi salpate dalla Turchia, hanno fatto parlare di nuove rotte marine oltre a quella, ben collaudata, dalla Libia. In realtà, è da molti anni che dalla Turchia partono imbarcazioni cariche di profughi e la novità, caso mai, può essere quella dell’incremento apprezzabile di persone, passate dalle 1.699 del 2012, alle 2077 del 2013, alle 9.544 del 2014, con un numero di sbarchi che furono 26 nel 2012, aumentato a 55 nell’anno da poco terminato. La “novità” è, invece, quella della “pubblicità di imbarchi”, con destinazione l’Italia, a costi contenuti, fatta, sfacciatamente, su face book, dalle organizzazioni turche che contrabbandano persone, con tanto di recapiti telefonici per avere ulteriori dettagli sulle partenze. Sulla spregiudicatezza di queste organizzazioni vale la pena ricordare la risposta che dava uno di questi mercanti di uomini ad un giornalista de La Repubblica, che lo intervistava a Istanbul ( 3 dicembre 2002), sostenendo di essere un imprenditore, perché “..do’ una risposta alla fame di alcuni e al bisogno di manodopera di altri..e poiché l’Europa non offre sponde legali all’immigrazione, ne costruisco di illegali..”. Che la situazione stesse peggiorando sul versante ionico negli ultimi tempi, era  stata la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza ad evidenziarlo, richiedendo, recentemente ( dicembre 2014), una maggiore collaborazione alle autorità di polizia turche. Tuttavia, sino ad oggi, si è visto ben poco sul punto e, con i gravissimi  problemi interni e con quelli collegati al conflitto in atto al confine con l’Iraq, non credo che dalla Turchia ci si possa attendere una particolare attenzione al traffico dei “clandestini”.  Attività che è nelle mani di una criminalità locale organizzata e diffusa, di clan con struttura di comando non verticistica, con un nucleo centrale stabile (gli organizzatori sono spesso legati da vincoli di parentela), uno variabile ( i reclutatori, i mediatori, i trasportatori, i custodi ecc…), con un’apprezzabile specializzazione ( persone legate al mondo del lavoro con regolari attività, agenzie di viaggi, di trasporto, albergatori, ristoratori, marinai, pescatori).

La mafia turca, naturalmente, non risulta estranea a questo lucrosissimo “affare”, anche se, secondo gli ambienti investigativi turchi, questo coinvolgimento si registra solo in concomitanza con trasferimenti massicci di migranti e, quindi, quando il guadagno è considerevole. Anche il particolare di navi mercantili con centinaia di profughi a bordo, come la Blue Sky M e la Ezadeen, cancellate dai registri navali e utilizzate dai trafficanti pochi giorni fa, ci fa tornare in mente quello che affermava un turco, nel 1998, parlando di navi mal ridotte, acquistate in Russia, nel Mar Nero al prezzo di 100mila dollari e dell’utile di circa 5milioni di dollari, in un mese, al netto delle mazzette per la polizia turca e alcuni politici, versato nelle banche della Cipro turca. C’è stato, poi, un periodo, dall’estate del 2010 al 2012, in cui i trafficanti turchi hanno fatto ricorso a velieri o lussuosi yacht battenti bandiera americana o francese, per trasportare, sotto coperta, siriani, afgani, pachistani e indiani in grado di pagare adeguatamente un “viaggio” più sicuro. Il capo di questa organizzazione era l’allora cinquantatreenne turco Kucuk Muammer, arrestato ed espulso una dozzina di anni fa ed ancora “operativo” in Turchia. Giunti in Italia i migranti vengono gestiti dalle diverse cellule operative, ubicate sul territorio nazionale per i successivi trasferimenti verso la Germania, la Svizzera, la Francia, la Norvegia, la Svezia, utilizzando autovetture o autocarri appositamente noleggiati da autisti occasionali o effettivi dell’organizzazione.

Organizzazione che, in alcune indagini – per esempio quella del giugno 2009, condotta dalla squadra  mobile di Venezia, che portò all’arresto di decine di trafficanti turchi e curdi in Italia, Grecia, Germania, Belgio e Gran Bretagna – emerge come “unitaria” perché “..le cellule hanno gli stessi referenti all’estero, si servono dei medesimi autisti…gli indagati si conoscono tra loro o sanno, comunque, l’uno dell’esistenza dell’altro e della comune attività, le notizie circolano tra loro, sono pronti ove necessario a prestarsi reciproco aiuto..molti degli indagati collaborano con tutti i gruppi operativi in Italia” ( dalle motivazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Venezia). Gli sbarchi di stranieri sulle coste calabresi fanno ipotizzare anche accordi tra la ‘ndrangheta e la mafia turca. Sul punto mi limito a ricordare l’esito dell’operazione del febbraio 2010 della Polizia di Stato, che, con il coordinamento della DDA di Reggio Calabria, eseguì 67 ordinanze di custodia in carcere nei confronti di altrettante persone di varie nazionalità che trafficarono “clandestini” in affari con la ‘ndrangheta (cosca Iamonte). Si può pensare ragionevolmente che non si tratti di un caso isolato.

Da liberainformazione.org


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