“Je suis Charlie”, come il giornale al centro dell’attentato di ieri, certo. Ma io sono anche Ahmed, come il poliziotto freddato in strada, e come i tanti, troppi, che annegano in mare o bruciano nelle stive di traghetti in fiamme nel tentativo di fuggire dalla violenza, la stessa che ha insanguinato la redazione del giornale satirico francese.
A pensarci bene, tutti i torti non li hanno coloro che individuano nell’eccessiva apertura della civiltà europea e occidentale una delle cause dell’attentato parigino. Perché sì, quei kalashnikov puntavano al cuore di questi valori, alla libertà. Di parola, di pensiero, di fede: di vita. Sotto quei colpi c’era Voltaire, c’era Kant, c’era l’Illuminismo e i suoi princìpi.
Tra questi, sebbene a qualcuno possa essere indigesto, c’è anche il diritto di usare l’arma dello sberleffo contro le credenze degli altri, pure quelle della comunità a cui si appartiene (e Charlie Hebdo in questo non lesinava la durezza, come dimostrano alcune vignette pubblicate dal giornale satirico su temi delicati e difficili per la Chiesa Cattolica, dalle unioni omosessuali allo scandalo dei preti pedofili). E non vale meno quel diritto se lo si esercita facendoci dei soldi, come spesso accade a quanti fanno della messa in discussione delle idee degli altri la loro principale attività di vita: vendere per denaro opere che demoliscono le credenze altrui è eticamente pari a guadagnare con attività tese a dimostrare le proprie.
Il problema è un altro. Il fatto è che le virtù borghesi e liberali non bastano a tener dentro e rappresentare l’intero mondo. Non erano sufficienti ieri, ancor meno lo sono oggi. La soluzione la si può cercare seguendo due strade distinte e divergenti.
Una è quella che indicano i sempre pronti a parlare di conflitto fra culture e visioni inconciliabili, che poi è quello che quei terroristi vogliono. Possiamo chiuderci in noi stessi, erigere muri e preparare la nostra decadenza o ricreare un nuovo medioevo, come quello in cui la cristianità europea difendeva la sua fede e i suoi confini, ma pure quello dei grandi califfati che facevano altrettanto, mutando le croci in spade, gli uni, e le mezzelune in sciabole, gli altri, per difendere ciascuno le proprie paure.
Un’altra è quella di non limitare la libertà, semmai di estenderla ancora, ma di affiancarle anche la giustizia sociale che finora è mancata. E lavorare per rendere questa e quella sempre più universali, diffuse, patrimonio realmente comune. Perché è nelle e dalle ingiustizie che ancora giustifichiamo con richiami a imperscrutabili leggi dell’economia e del mercato che folli e violenti prevaricatori alimentano le proprie dottrine contro il modello di vita democratico e liberale.
Detta altrimenti, o dimostriamo di essere davvero qualitativamente migliori e non solo quantitativamente più forti, o lo scontro tra civiltà sempre meno civili sostituirà definitivamente il dialogo fra gli uomini. Realizzando, così, grazie alla stupidità di improbabili crociati, il sogno di impresentabili califfi.