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La “legge bavaglio”: la Cassazione la presenta su di un piatto d’argento…

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Al solito i giudici della Cassazione sono più veloci e lesti del Parlamento. Da decenni si parla di legge bavaglio per i giornalisti, e guarda caso l’argomento è uscito fuori nuovamente adesso che si parla di riforma della responsabilità civile dei giudici, comune denominatore è quello di ridurre sempre più il diritto del cittadino a ricevere giustizia ed essere informato, valori basilari della democrazia, e mentre il Parlamento arranca, almeno sul “bavaglio” ecco pronta la Cassazione con il suo “monito”: “i giornalisti, in particolare ai cronisti giudiziari, in futuro faranno bene ad astenersi a riportare fra virgolette brani anche minimi di atti di indagine”.

Il commento è dell’avvocato Caterina Malavenda. La Terza sezione civile della Suprema corte ha fissato strette maglie per la pubblicazione sui giornali di atti giudiziari e si badi bene non di indagini in corso ma anche di quelle definite, quelle non più coperte da segreto, quelle cioè già depositate.

I giornalisti dovranno specializzarsi in parafrasi e riassunti. Così poi chiunque potrà dire, “se la sono inventata i giornalisti di sana pianta” non potendoci essere più un virgolettato. Guai a fare il copia incolla di una dichiarazione, di una intercettazione. Tutto deve rimanere nel limbo, vietato fornire certezze. Conseguenze per chi viola. Eccole pronte le “querele temerarie”, le “intimidazioni in nome della legge”, i risarcimenti milionari”, quelle vicende per le quali conti centinaia di solidarietà e poi il giornalista ricco o povero che sia deve tirare fuori il denaro dalle proprie tasche. Cosa fare allora?

Io la penso in un modo preciso. Anzi in due modi precisi. Disobbedienza perché questa non è legalità ma è altro. Questa non è democrazia e libertà. Punto secondo: organizziamo le agorà settimanali nelle città e leggiamo le sentenze. Il bavaglio noi lo rifiutiamo. Non ci piace. Ci sta male. Ci fa vecchi e pronti ad adeguarci. Noi non vogliamo adeguarci. Vogliamo restare liberi… liberi di rispettare l’art. 21.

 


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