Vorrei partire da due verità che anche (o soprattutto) nel nostro bel Paese qualcuno ha difficoltà a ricordare ma che, a mio avviso, sono decisive per tentare un discorso meno desueto sul nostro prossimo avvenire. La prima è non è pensabile una ri-presa dello sviluppo senza un’adeguata riflessione della base reale su cui operiamo; la seconda è ché, come tutte le società complesse, la nostra società cambia non attraverso “svolte”(momenti magici decisivi),ma attraverso processi di “transizione”, necessariamente lenti e silenziosi.
Siamo comunque (secondo la definizione che ne dà proprio il presidente del CENSIS che ha firmato il 48mo rapporto della grande istituzione di ricerche)”una società indistinta e sfuggente: indistinta perché non è più descrivibile con forme e figure delineate e significative (si pensi al progressivo successo del termine “gente” e alla propensione a parlare di “gentismo“), e sfuggente perché tutto vaga senza radicamenti, per cui è impensabile un ritorno ai fili di erba ed ai cespugli di sviluppo, fenomeni tipicamente terragni, che hanno cioè bisogno di terra per sorgere e crescere. Contemporaneamente a un fenomeno su un processo in corso che la società liquida in cui viviamo-la definizione è del sociologo Zygmunt Baumann ed equivale a parlare di una società postmoderna- rende liquefatto il sistema o almeno mette in crisi le giunture sistemiche della vita collettiva.”
“Siamo-scrive il presidente del Censis, Giuseppe De Rita -in una società a-sistemica, visto che non è più governabile con i tradizionali modelli sistemici (piramidali, collegiali,concertativi)),visto che le forzature sui modelli tradizionali(in particolare, l’accentuata verticalizzazione del modello piramidale)non sembrano ottenere risultati apprezzabili; visto che le catene sistemiche di comunicazione e di comando sembrano più sfilacciate;visto che anche i tentativi di attestarsi su più ridotte dimensioni sistemiche(dal federalismo al localismo esasperato) non sembrano per ora toccare spazio; e visto che sul piano del fondamento teorico è ormai superato il primato del modello organi cistico(che ci aveva guidato dall’apologo di Menenio Agrippa in poi),mentre non riesce a imporre concrete relazioni di governance il modello cibernetico destinato a dominare nei prossimi decenni.” “Il sistema-aggiunge lo studioso-finisce per essere vissuto come cosa estranea e resta solo potenziale oggetto di rancore e di denuncia. Con la conseguenza che tale estraneità porta a un fatalismo quasi cinico(tanto è fuori controllo e nessuno riesce a padroneggiarlo) e talvolta an che ad episodi di secessionismo sommerso, ormai presente in varie regioni e realtà locali, specie al Sud .” De Rita parla di una società delle sette giare che racchiudono la realtà del Paese ma che non comunicano tra loro.
Ed analizza con lucidità i più importanti.
1)La prima giara che vive della propria potenza è quella del circuito sovranazionale da cui siamo sempre più condizionati e con essa si intendono le crisi internazionali in atto ma anche le vicende dei mercati finanziari e i comportamenti delle autorità comunitarie europee e mondiali;
2)la seconda giara è quella della politica nazionale ed è condannata a restare oggi come oggi chiusa in sé stessa rilanciando in maniera monotona lo slogan del “primato della politica”;
3) la terza giara è quella del funzionamento istituzionale e vive una fase di scarsa credibilità a cui reagisce con molta fatica. Il sistema complessivo vive senza dubbio alcuno una fase di declino e di diffuso populismo ma non si intravvedono ancora i sistemi per superarli. Tra i circuiti che vivono di se stessi c’è sicuramente quello di mezzi di comunicazione che stanno vivendo interna che in prospettiva si allontana da quel rigoroso mandato di aderenza alla realtà e di sua rappresentazione cui sono istituzionalmente chiamati. La prima di tali dinamiche è costituito dal fatto che il mondo della comunicazione appare incardinato al perno del binomio opinione-evento in dimensioni tali da domandarsi quali pezzi di società alla fine i media rispecchino, di quali blocchi sociali avvertano le vibrazioni, di quali ceti intercettino malumori e bisogni e se abbiano effettivamente le antenne protese a comprendere giorno per giorno i cambiamenti reali in corso nella società. C’è quindi la dinamica che deriva dal fatto che la crescita e l’innovazione degli strumenti digitali di comunicazione e relazione si esercitano compiutamente nella tendenza dei singoli all’introflessione.
L’io è al tempo stesso soggetto e oggetto della comunicazione mediatica. Ma quel che colpisce particolarmente nell’analisi del Censis e mi ha convinto a partire da essa per dire brevemente quel che penso sull’Italia di oggi è proprio la conclusione che De Rita ha dato alle sue Considerazioni generali e che riproduco:” Se la deflazione-egli scrive- é così ampia e pervasiva, il timore emergente è che dovremo con essa convivere a lungo, in una stabile mediocrità. E per questo si comprende la crescente esigenza di una cultura politica che comprenda l’articolazione e la separatezza dei mondi di vitalità e di potere oggi esistenti e riannodi i loro meccanismi operativi e di orientamento”. In due parole: il mondo della politica e quello delle culture vive e vegete si mettano insieme e diano a una società in crisi che con tutta evidenza attraverso una fase di crisi notevole gli orientamenti necessari per superarla e andare avanti. Sarebbe utile allora che proprio da esponenti delle attuali classi dirigenti politiche e di governo arrivassero piuttosto che autoesaltazioni narcisistiche orientamenti chiari sulla direzione in cui andare nei prossimi mesi e anni. E’ chiedere troppo?