Di Davide Galati
La battaglia combattuta dai Curdi a Kobane, condotta quasi da soli e sin qui vittoriosa nei confronti dei jihadisti dell’ISIS, nonostante l’ostilità della Turchia e l’incerto appoggio americano, ha acceso la partecipazione dei militanti progressisti di tutto il mondo, assumendo un valore simbolico per la sinistra storica a livello internazionale.
Tra i politici, ha portato in alcuni casi a decisioni eclatanti, come la scelta dell’ex leader laburista australiano Matthew Gardiner di recarsi in Siria per stare al fianco dei combattenti curdi. Ha ispirato artisti, si pensi all’interessante reportage in forma di graphic novel realizzato dal fumettista italiano Zerocalcare (“Con il cuore a Kobane”), recentemente pubblicato da Internazionale.
Ma Kobane ha rappresentato un simbolo anche per le donne di tutte il mondo, grazie al valore dimostrato dalle guerrigliere militanti nell’unità di difesa YPJ o nelle altre forze curde. La città è collocata nel Kurdistan siriano, o Rojava, regione autonoma fondata dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), di iniziale ideologia marxista-leninista, il cui leader Abdullah Ocalan, perseguitato come terrorista dal governo turco, è attualmente all’ergastolo. Attualmente la filosofia politica su cui si regge la regione è basata su un concetto di autodeterminazione e federalismo democratico. Al centro dell’elaborazione politica vi è anche la spinta per la liberazione della donna, con la questione di genere da ritenersi strettamente collegata a quella di classe; la schiavitù della donna è vista infatti come base della colonizzazione e dello sfruttamento dei popoli. Alla luce della concezione sociale curda, il contrasto con l’ideologia dei militanti jihadisti diventa assoluto.