Da Nord a Sud un paese diviso che stenta a uscire dalla recessione, ma unificato dall’espansione delle mafie, della corruzione e dalla minaccia terroristica. È la fotografia dell’Italia che esce dalle relazioni di apertura dell’anno giudiziario. La Giustizia è il negativo della foto. Tutti d’accordo che bisogna colpire la corruzione, ma il compromesso politico sul ripristino della gravità penale del falso in bilancio non è soddisfacente. Che senso ha inasprire le pene se poi non si possono colpire i colletti bianchi? Soltanto 31 colletti bianchi in carcere, affollato invece dagli ultimi della società e dai killer di mafia. Una delega fiscale che esonera il 3% dei proventi del riciclaggio e autoriciclaggio o la non punibilità del 5% del conto economico nel falso in bilancio non sono coerenti con la dichiarata volontà governativa di colpire corruzione, criminalità economica e mafiosa. Alcuni problemi andranno affrontati con leggi, altri con misure di rafforzamento amministrativo e di volontà politica. Tra questi ultimi ci sono sicuramente quelli relativi alla riforma dell’Agenzia dei beni confiscati e della sua governance democratica, al rafforzamento degli uffici giudiziari e della loro autonomia. Tra i primi ci sono l’adeguamento della normativa per colpire la criminalità economica e la corruzione con relativa confisca come per i reati di stampo mafioso e una interpretazione autentica del 416 ter (voto di scambio tra mafia e politica) resasi necessaria dopo le sentenze di segno opposto della Cassazione sulle sue prime applicazioni. Inoltre, rimangono irrisolti i tempi brevi di prescrizione per i reati di corruzione e la modifica del cd Codice antimafia del 2012.
La foto va allargata a quello che nel frattempo è maturato nella coscienza civile e nell’agenda politica dell’Italia e dell’UE.
Il Parlamento Europeo si sta muovendo, seppur lentamente, dopo la direttiva sui beni confiscati, sul tema dello sviluppo di una legislazione antimafia armonizzata a livello europeo come sollecitato anche dalla petizione promossa dal Centro La Torre, Art21, Liberainformazione. Nel recente incontro tra Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia del Parlamento italiano, e Claude Moares, presidente della Commissione LIBE (diritti civili) del PE, sono state condivise le possibili azioni in tale direzione.
In Italia, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri ha consegnato al Presidente Renzi la sua proposta di riforma della normativa antimafia (centotrenta articoli in duecentoquarantasei pagine) per adeguarla alle trasformazioni del fenomeno mafioso. La valuteremo appena sarà pubblicata. Il Ministro Andrea Orlando nella sua recente relazione al Parlamento ha ribadito la priorità della lotta alla corruzione quale patologia del nostro sistema economico e politico che mina la democrazia e impoverisce il paese.
L’inchiesta della Procura di Roma su Mafia Capitale ha aperto un nuovo capitolo nel contrasto alla criminalità organizzata accusandola di”metodo mafioso”, cioè di agire criminalmente in rapporto organico con membri degli apparati istituzionali e politici. L’accusa, se confermata in sede di giudizio, consoliderà un’interpretazione efficace, non solo sul piano sociologico, della lotta contro il sistema mafia-politica-affari, sinora sfuggente alla logica penale .
Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie al lavoro costante del movimento antimafia che, con le sue mille sfaccettature e il suo articolato pluralismo, ha coltivato la coscienza civile della Nazione oggi rafforzato anche dal protagonismo sociale antimafia della Chiesa.
La pericolosità del terrorismo, dopo i fatti di Parigi e la reazione democratica che hanno suscitato, può far passare in secondo piano quella della criminalità organizzata che, come insegna la storia italiana, non ha mai rifiutato contatti col primo. Per tale motivo è condivisibile che in Italia l’antiterrorismo diventi una branca specializzata della struttura investigativa dell’Antimafia, fruendo della sua esperienza nel rispetto della legalità repubblicana senza ricorrere a legislazione speciale.
D’altra parte anche il terrorismo non può essere cancellato inasprendo le pene, ma eliminando le cause sociali e geopolitiche che lo originano e lo alimentano. Le false insegne della guerra religiosa nascondono, come sempre, la povertà e la disuguaglianza tra i popoli e tra i singoli cittadini, il dominio sulle risorse naturali (v. petrolio). Esse colpiscono diritti umani, libertà e visione laica dello Stato e della politica allo stesso modo. Non per caso in Occidente il terrorismo è utilizzato, dalle forze conservatrici e di destra, per alimentare nazionalismi, populismi, nuove forme di razzismo e politiche economiche antipopolari. Risolvere politicamente i vari conflitti e focolai di guerra in Europa (v. Ucraina) e nei cinque continenti è l’unica via percorribile per salvaguardare la pace assicurando crescita economica e giustizia sociale.