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Il nuovo Presidente e i nostri problemi

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Chi, quasi di mestiere, fa l’editorialista come professione principale o anche chi come chi scrive ne fa un altro e scrive libri di storia, di economia o di letteratura, e ogni tanto scrive articoli su  quotidiani e settimanali o anche su siti di giornali on line si trova nella condizione ormai quasi quotidiana di chiedersi chi sarà il successore di Giorgio Napolitano che ha lasciato ieri dopo nove anni il Quirinale e si gode un meritato riposo. E in questa condizione il pensiero corre quasi di necessità a due aspetti fondamentali di quello che la carica di Capo dello Stato nel nostro Paese. Da una parte, cioè, il rispetto rigoroso ma interpretato da ciascuno sulla base della propria personalità, delle proprie esperienze e delle convinzioni maturate nella lunga o breve esperienza politica che ha preceduto l’arrivo alla carica più alta.

E allora giova sapere quello che è successo nel settantennio repubblicano, come sono stati eletti i presidenti, da quale assemblea sono di solito arrivati e quali sono stati i meccanismi che hanno condotto alla loro scelta. Da questo punto di vista, l’editoriale ha scritto per il Corriere della Sera , l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese merita di essere citato perché vale la pena ricordare che, dopo la scelta iniziale di Einaudi, “gli altri nove presidenti sono stati scelti in questo modo: cinque dei nove erano stati presidenti della Camera dei deputati (Gronchi, Leone, Pertini, Scalfaro e Napolitano), uno dell’Assemblea Costituente (Saragat), uno del Senato(Cossiga), due del Consiglio dei ministri (Segni e Ciampi). Cassese trae da questi elementi una considerazione accettabile e cioè che questo corrisponde a un principio della nostra costituzione repubblicana che sottolinea la stretta correlazione che esiste tra Parlamento, presidente e governo dando la precedenza alla Camera più numerosa, quella  dei deputati tra i presidenti della quale sono stati scelti ben cinque capi dello Stato.  Infine Cassese ha fatto una seconda considerazione sulla quale chi conosce la storia repubblicana non può che convenire senza difficoltà. Saranno la legge elettorale e le modifiche costituzionali e  la legge elettorale a in luenzare senza dubbio la scelta tra i candidati (che sono, a quanto pare, ancora molti) e a determinare alla fine l’elezione, si fa solo per dire, del giudice costituzionale Sergio Mattarella o del presidente dell’enciclopedia italiana Giuliano Amato o ancora di un terzo candidato come Walter Veltroni o di un altro ancora.

E’ difficile prevederlo in questa grigia domenica di gennaio ma non c’è dubbio che il nuovo capo dello Stato debba affrontare, dopo la sua elezione, i problemi strettamente congiunti della lotta alle mafie e della non battuta corruzione pubblica e privata.  Nei giorni scorsi è scoppiato lo scandalo dei dipendenti di vari Ministeri come del Consiglio di Stato imputati di pesanti reati e, quanto alle mafie, è un bollettino quoti diano che va da Trapani a Milano e viceversa e registra ogni giorno combines e malversazioni che vedono insieme politici e imprenditori, funzionari pubblici e affaristi per appalti miliardari o per affari di cui si saprà soltanto più tardi con l’arrivo dei giudici la portata e le dimensioni.  Ora al presidente della Repubblica spetta un ruolo di primo piano per suscitare tra gli italiani la volontà e l’intenzione di scrollarsi da dosso i primati negativi nell’OCSE come nell’Unione Europea e lavorare nella direzione di una realizzazione finalmente della trasparenza e della pulizia della pubblica amministrazione e dello Stato. E tutto questo senza aspettare le future scadenze elettorali o altri traguardi più o meno lontani. La vicenda mafiosa nella capitale italiana legata alla banda di Carminati e Buzzi ha tolto ogni illusione su un fenomeno di periferia o soltanto del Mezzogiorno profondo rispetto al rapporto affari e politica e dovrebbe spingere il nuovo presidente a non trascurare problemi come questi.


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