da Parigi – Quest’anno, saranno solo in 300 gli ebrei sopravvissuti dallo sterminio a celebrare i 70 anni della liberazione dei campi di Auschwitz-Birkenau da parte dei sovietici dell’Armata rossa. Solo 10 anni fa erano in 1.500. In tutto il mondo si stima siano ancora vivi 100.555 sopravvissuti.
Tra pochissimi anni, nessun sopravvissuto potrà più ricordare alle nuove generazioni la tragedia che si scagliò contro 6 milioni cittadini europei di religione ebraica ad opera dei nazisti. Nessuno che potrà lasciarsi intervistare, che potrà raccontare ai ragazzi dei “viaggi della memoria” come erano stati deportati, stipati nei carri bestiame; avevano superato la “prima selezione”, marchiati con l’indelebile inchiostro blu come animali con un numero, che avrebbero poi dovuto ricordare e declamare ad alta voce in tedesco ad ogni appello. Come venivano stipati negli stalag, rasati a zero, privati di orologi ed occhiali, insaccati dentro pigiami di tela informi con l’immancabile stella gialla e ai piedi un paio di zoccoli di legno. E poi, come dovevano lavorare nelle fabbriche chimiche, di armamenti, di auto e di mobili per otto ore al giorno, senza pause, con turni notturni: estate, inverno, sempre al lavoro come schiavi. E questi erano i più fortunati, perché gli altri venivano obbligati a lavorare nei forni crematori, allo “smaltimento” dei cadaveri dei loro confratelli.
Un inferno senza fine, una “disumanizzazione” programmata, che solo la penna di un grande scrittore come Primo Levi seppe raccontare nel suo stile asciutto e “scientifico” in quell’intramontabile capolavoro di “Se questo è un uomo”. Dal Settembre del 1941 per questi campi polacchi transitarono un milione di ebrei, sterminati dalla fame, dalle malattie e, soprattutto, dall’abominevole applicazione meticolosa della teoria hitleriana della “Soluzione finale”, insieme a prigionieri di guerra polacchi, Rom e omossessuali.
Oggi si contano poco più di 13 milioni gli ebrei nel mondo. Prima dell’Olocausto, nel mondo ce n’erano 16,5 milioni. Il revisionismo storico e il negazionismo, che imperversano soprattutto su Internet e che vengono rilanciati dai motori di ricerca sotto mentite spoglie, cercano di minimizzare le cifre, mistificando i dati con argomenti parascientifici e storiografici, apportando testimonianze e studi di sconosciuti ricercatori. Nell’Unione Europea su poco più di 500 milioni di abitanti, la comunità israelitica conta all’incirca 1,2 milioni di appartenenti, 600 mila dei quali solo in Francia; in Israele ve ne sono 5,5 milioni, altrettanti negli Stati Uniti.
Oggi non ci si accanisce più in con il dispregiativo “Dagli all’ebreo”, ma con artifici intellettuali ci si nasconde dietro le “teorie complottiste”, come è successo anche all’indomani dell’uccisione dei 17 parigini (di cui 5 ebrei) del 7 ed 8 gennaio scorso. Su alcuni siti, ma anche su qualche quotidiano, alcune opinionisti, da destra e dalla sinistra estrema, hanno persino ipotizzato che fosse stata opera del Mossad, il potente servizio segreto israeliano!
Ed è purtroppo in Francia che l’antisemitismo è più che mai vivo e si manifesta con aggressioni, profanazioni di tombe, attacchi a sinagoghe, fino alle stragi del Marzo 2012 nella scuola ebraica di Tolosa e di questo Gennaio contro Charlie Hebdo e il supermercato Kosher, o alle violenze contro giovani donne ebree. E’ in Francia che si trovano i maggiori esponenti del revisionismo storico e dove pullulano siti antisemiti e si va affermando una vasta editoria satirica antisionista.
Secondo l’Agenzia ebraica di Gerusalemme, diretta dall’ex-dissidente russo, Natan Sharansky, cresce ogni anno l’Aliyah, ovvero la corsa all’emigrazione verso Israele, spesso proprio spinti da motivi di paura, di mancata protezione e di nuove forme di antisemitismo: “Negli ultimi quattro anni, dal 2010 al 2014, sono arrivati in Israele circa 100 mila nuovi immigrati. Negli ultimi dieci anni sono arrivati 245 mila nuovi immigrati”. Dalla Francia si va assitendo ad un vero e proprio esodo (i cittadini ebrei di questo paese hanno in maggioranza il doppio passaporto, ndr). Nel 2012 furono in 1.900, l’anno dopo in 3.000, nel 2014 sono arrivati oltre raddoppio a 7.000 emigrati, e per quest’anno si prevede una fuga in massa di 15 mila.
E non è solo colpa dell’antisemitismo e dell’antisionismo crescenti, in rete, nei partiti di destra, tra i movimenti filo-palestinesi, ma anche per l’aggressività che viene dimostrata ormai senza più giusitficazioni ideologiche dai giovani islamici, tutti naturalizzati francesi, quegli stessi che sono anche i primi a subire la scure della crisi economica, a senitre sulla pelle gli effeti degradanti dell’emarginazione nelle banlieu.
In Francia, la polveriera dell’antisemitismo e della xenofobia, vive dunque la maggiore comunità ebraica europea e qui vi è presente anche la più grande comunità islamica dell’Unione. Secondo i dati dell’istituto indipendente Pew Research Center di Washington, in Europa la popolazione musulmana conta all’incirca 44,1 milioni di appartenenti, il 6% degli abitanti (e la tendenza è prevista che aumenti a 58,2 milioni, l’8%). Il paese che ospita il maggior numero di musulmani è la Francia (circa 5 milioni, la metà dei quali con cittadinanza francese), ovvero il 7,5% della popolazione, seguita dalla Germania (circa 3,5 milioni, di cui 2 milioni turchi) e dall’Inghilterra (2 milioni, quasi tutti di nazionalità britannica).
Nonostante quanto si cerca di far credere attraverso la propaganda negazionista e neo-revisionista, la comunità ebraica, però, non è più preponderante nel sistema economico-finanziario europeo. Gli investimenti nei titoli di stato, bond e obbligazioni pubbliche dei principali stati è per un terzo in mano ai Fondi sovrani arabi, un terzo a quelli cinesi e il resto alle stesse banche europee, a quelle russe e dei paesi emergenti asiatici e sudamericani. La finanza araba è maggioritaria negli investimenti alla City di Londra. Ma soprattutto i capitali delle principali famiglie “reali” dell’Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti stanno diversificando gli investimenti: dai media tradizionali alla TV satellitare, nelle TLC e la Telefonia mobile, nello sport di massa come calcio e ciclismo, nelle compagnie aeree.
In realtà, oggi l’antisemitismo ha due volti, uno di destra e uno di sinistra, che si sviluppano su più piani: da una parte attraverso campagne denigratorie e neorevisioniste, condite anche di satira irriverente, che fioriscono sul WEB o trovano spazio in rappresentazioni teatrali e musicali (come il caso del comico Dieudonné, indagato dalla magistratura francese per le sue opinioni di “apologia del terrorismo” e i suoi spettacoli ritenuti “offensivi nei confronti della religione ebraica, osceni e antisionisti”). L’altro volto è quello fatto di aggressioni e attacchi terroristici.
Quindi, c’è l’aspetto dai “guanti bianchi”, ovvero “non-violento” che accomuna trasversalmente alcuni movimenti di estrema destra e di sinistra radicale in una sorta di lotta anche attraverso i mezzi legali forniti dall’Unione Europea, per contrastare la politica d’Israele, ritenuta di “apartheid” nei confronti dei palestinesi. Di fatto, siamo ad una nuova versione di antisemitismo, che accomuna posizioni agli antipodi tra loro nell’appoggiare la causa palestinese contro “l’espansionismo e il razzismo” dello stato d’Israele. E in questa “deriva demagogica e xenofoba” l’Unione Europea non sembra affatto capace di discernere il razzismo e l’antisemitismo dal sionismo e dall’integralismo religioso islamico. Cosicché si rischia, con il prolungarsi della crisi economica e sociale, l’acuirsi degli scontri di “civiltà” e l’escalation di violenze tra comunità che invece dovrebbero integrarsi. Ancor di più, oggi, che nell’Europarlamento siedono un folto gruppo di rappresentanti euroscettici, di destra, apertamente xenofobi, antisemiti e capitanati da leader demagogici.
E proprio quando la Corte Penale Internazionale dell’Aja, emanazione dell’Onu, vuole mettere sotto accusa Israele per crimini contro l’umanità, in seguito all’operazione “Margine protettivo” (8 luglio – 26 agosto 2014), lanciata contro la Striscia di Gaza come ritorsione all’uccisione di tre ragazzi ebrei da parte di 7 guerriglieri di Hamas: 2.100 palestinesi uccisi, 70 israeliani morti e 11 mila feriti. E a partire dal Primo Aprile, ha annunciato il Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, anche un membro dell’Autorità palestinese farà parte della Corte Penale dell’Aja. Una politica, quella delle istituzioni internazionali, ambigua che rischia di acuire malcontenti tra le due comunità, israelita e islamica, che sempre più si contrappongono.
Il 17 Dicembre scorso il Tribunale dell’UE, poi, ha sentenziato che il movimento palestinese Hamas (che controlla la Striscia di Gaza ed è maggioritario dei territori occupati), sia come braccio armato che ramo politico, non dovesse essere iscritto nella lista delle “Organizzazioni terroristiche” dell’UE, pur mantenendo congelati i beni all’interno dell’Unione. La Commisssione Europea e il Consiglio Europeo continueranno, invece, a considerare Hamas un’organizzazione terroristica e faranno nei prossimi due mesi al Tribunale. Ma è sempre quello stesso Hamas che si congratula per il “grande coraggio ed eroismo” verso il plaestinese che pochi giorni fa a Tel Aviv ha accoltellato su un bus 12 israeliani!
Ed è forse memore anche della tragedia della Shoah e del perpetarsi della lotta tra le due comunità, che il Parlamento europeo con 498 voti favorevoli, 88 contrari e 111 astenuti ha approvato a Dicembre una risoluzione storica che sostiene: «in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e il proprio fermo sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e con uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, che vivano fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza, sulla base del diritto all’autodeterminazione e del pieno rispetto del diritto internazionale».
70 anni dopo, purtroppo, è ancora lungo il cammino per una vera pacificazione e per il superamento degli odii religiosi, se non si attraversa il fiume tormentoso dei ricordi e si oltrepassa nell’altra riva, quella dove genti diverse per culture, religioni, costumi e ideologie si riconoscono nella difesa della dignità umana, delle sue libertà e della solidarietà tra i popoli.