“Amici ascoltatori, da piazza Omonia abbiamo trasmesso il comizio di Alexis Tsipras“.
La voce calda di Marion non si sente attraverso il vetro, ma esce direttamente dalla tv, terzo canale della tv greca, su cui continuano ostinatamente a trasmettere i “licenziati” della tv di stato, rimossi con la forza lo scorso settembre su ordine del primo ministro Samaras. Una decisione presa “per risparmiare”, in linea con le indicazioni arrivate da Bruxelles. “Non l’abbiamo mai accettata quella decisione, perché non è stata una decisione democratica. Neanche la giunta fascista dei colonnelli ha mai preso una decisione come quella di Samaras contro la tv di stato“. Christoforos alza la voce, ha due figli e una storia lunga 18 anni nella tv di stato. “Siamo qui da volontari, nessuno ci paga eppure trasmettiamo programmi culturali e informazione 24 ore al giorno. È quello che siamo, è quello che la gente ha il diritto di avere“.
Nel grande monitor appeso alla parete la voce calda di Marion si mescola alle note di Bella ciao che fanno da sottofondo allo sventolare delle bandiere di Syriza che riempiono piazza Omonia (che probabilmente non a caso significa unità) e che escono dalla Tv.
Ci sono le elezioni politiche in Grecia, domani si vota e in questo piccolo studio hanno tutti un solo pensiero. Dice Giannis, che alla Ert ha lavorato per 26 anni. “
Cosa ci aspettiamo lunedì? Ci aspettiamo più democrazia, ma questo dipende dal popolo, è la gente a decidere. E ci aspettiamo di riavere il nostro lavoro, ci hanno licenziato illegalmente, ingiustamente e in modo non democratico. La gente, che domenica dovrà scegliere, lo sa bene”.
Ertopen è il nome del servizio pubblico che i “licenziati” della Tv di stato hanno scelto per il loro canale. “Orgogliosi di quello che siamo stati e di quello che torneremo ad essere” dice Panagiotis, 28 anni di Ert, mentre si apre la giacca e mostra una spilla con la sigla “Ertopen”.
“Quello che è successo l’11 giugno del 2013 è stato un vero e proprio colpo di stato“. Nikos Michalitsis ha pochi peli sulla lingua e un passato importante nella radiotelevisione ellenica. È stato direttore generale del settore tecnico e sono in molti a ritenere che sarà il prossimo direttore della Ert che Alexis Tsipras farà rinascere (come ha promesso ripetutamente) dopo aver vinto le elezioni. “Il servizio pubblico secondo la costituzione greca deve esistere sempre, senza interruzioni. Non può essere fermato. E invece l’hanno chiuso con la polizia in assetto anti sommossa.”
Lo ripete più volte, mentre tra gli sbuffi del sigaro osserva i sondaggi che annunciano la vittoria già scritta di Syriza, venti mesi dopo la chiusura della tv pubblica.
Sul palazzone storico della Ert, la notte brilla una scritta blu: Nerit. È il nome della nuova tv di stato, aperta dal governo un paio di mesi dopo lo sgombero. Panagiotis Kalfagiannis, è il presidente del sindacato Ert, guarda quel palazzone e ricorda: “Il 7 di novembre sono arrivati alle 4 del mattino. Decine di poliziotti in assetto antisommossa, come se fossimo dei terroristi. Sono entrati da quel cancello, hanno spezzato la catena che avevamo messo e sono arrivati all’ingresso del palazzo. Ci hanno arrestati tutti e dopo due ore ci hanno rilasciati senza nessuna accusa“.
Panagiotis racconta mentre siamo nel mezzo di viale Mesogion e il flash del mio cellulare illumina il palazzo della Tv. Una donna ferma al semaforo mi guarda e mi chiede: “fotografa quella scritta? Oggi fa ancora in tempo. Deve cadere al più presto, non lo ha fatto il governo lo faremo noi domenica” dice alzando le spalle. Poi accelera e si allontana sulla sua auto. Sul sedile di dietro dormono due bambini. “Vedi – mi dice Panagiotis mentre la guarda andare via – la gente è dalla nostra parte, lo è stata fin dall’inizio di questa storia. Erano cinquantamila a protestare contro il governo nei giorni della chiusura. Magari erano anche arrabbiati con il servizio pubblico, che non sempre ha fatto il suo dovere, ma la Ert l’hanno sempre sentita come parte di loro stessi, e non solo perché pagano il canone.”
La Ert open è un ufficio di poche decine di metri quadrati che si affaccia proprio di fronte alla sede storica della Ert, attuale Nerit, che ora trasmette su un solo canale con un quinto dei dipendenti e, dice Despina, “fatica a produrre cultura e informazione libera.” Despina spalanca la finestra e lascia entrare la luce della luna. “Cerco di non guardare quel palazzo, non dice niente. Non è importante il palazzo, è importante la gente che ci lavora dentro. E di una cosa dobbiamo essere tutti consapevoli: la storia non si cancella cambiando un nome e scrivendone un altro. La storia è scritta nella memoria delle persone.” La storia in questo piccolo ufficio è scritta anche sulle pareti piene di disegni fatti dai bambini, i figli dei dipendenti, che gridano frasi colorate per salvare Ert.
I lavoratori licenziati non si sono mai fermati. Si sono presi la terza rete della vecchia Ert e continuano a trasmettere con lo stesso nome. Nessuno di loro percepisce stipendio.
Christoforos si domanda: “C’è la crisi in Grecia? Certo. Ognuno di noi deve sopportare il peso della crisi che Bruxelles ci ha imposto e ognuno di noi, qui dentro, deve sopportare il peso della chiusura del servizio pubblico, anche questa imposta dall’Europa. Ma non molliamo. Lunedì vedremo se abbiamo avuto ragione.”
Nei primi giorni dopo la chiusura c’erano oltre 50 mila greci sotto la ert a protestare contro il governo. Manifestazioni di solidarietà si sono svolte in tutte le capitali europee. Solidarietà ai lavoratori e difesa del servizio pubblico, un bene comune. Un tema che va ben oltre i confini della grecia. Lo sottolinea Nikos Michalits: “in questi 19 mesi siamo stati appoggiati dall’European Broadcasting Union, l’unione delle tv pubbliche europee. Ma in questo stesso periodo in Spagna è stata chiusa la televisione di Valencia, in Israele stanno chiudendo gran parte della tv, lo stesso sta succedendo in Romania. So che anche alla Rai, in Italia, cercano di ridurre le redazioni e che hanno messo in vendita le torri di trasmissione e forse taglieranno ancora. In Europa chi comanda spinge a tagliare sui settori pubblici. Nella stessa direzione vanno gli interessi dei privati che vogliono guadagnarsi spazi nella radiotelevisione. La nostra speranza è che si cambino le politiche in tutta Europa per salvare la televisione pubblica che è un bene di tutti. Domenica sarà l’inizio di questo cambiamento.”
Lo speriamo tutti, davvero.
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