Con lo scandalo di “mafia capitale” si riapre una ferita italiana già vissuta negli anni “90 con il fenomeno di “ mani pulite” sebbene oggi messa in campo da attori diversi e con strategie più sottili. Se in passato il circuito su cui indagavano i magistrati era costituito da banche-politica-imprenditoria, oggi quella triade diventa meno nitida per via della commistione, anche burocratica, tra privato e pubblico e per il ruolo svolto dai “faccendieri” che intermediano tra le due realtà.
L’inversione di tendenza rispetto al passato è che un tempo la stessa politica si poneva come mediatrice diretta con il mondo imprenditoriale mentre oggi l’intelaiatura aggiunge un livello “di mezzo” un calderone all’interno del quale circolano entità, persone giuridiche e fisiche, poco identificabili ma in stretto contatto con elementi riconducibili all’entità statuale. L’Italia offre un’immagine di diffusa corruzione che in Europa indebolisce il confronto con gli altri paesi, una debolezza cronica che non si elimina con una lotta operata sul solo piano legislativo del fenomeno ma con puntuali azioni di prevenzione sia di tipo amministrativo che a livello culturale e organizzativo. Negli anni 92-94, periodo parimenti difficile se guardato sotto la lente delle verifiche delle ipotesi di corruttela, la custodia cautelare forniva ai magistrati l’opportunità di conoscere l’intricato sistema di tangenti mediante le confessioni degli indagati, per lo più imprenditori, mitigate dal “do ut des giudiziale ” della collaborazione.
Oggi il quadro appare più complesso perché sembra che il sistema operi all’inverso, con un bandolo sfuggente. Alcune “entità”, collegate con la politica di stato, appaiono servirsi del mondo di mezzo lucrando su questioni di emergenza sociale o soggetti svantaggiati ma anche di emergenza ambientale, si pensi al MOSE, in nome e per conto di cooperative, fondazioni, consorzi e persino nella costituzione di alcune municipalizzate. Ove le questioni economiche relative al bilancio mancano nell’aspetto della chiarezza e linearità, a causa del groviglio di sovvenzioni, sgravi fiscali, sebbene in nome di un obiettivo eticamente condivisibile, si possono ravvisare raggiri annodati alla difficoltà di svolgere controlli preventivi e, in caso di illeciti, nella successiva individuazione delle responsabilità. Quello che i cittadini italiani chiedono da tempo è una maggiore trasparenza nelle regole e pratiche amministrativo burocratiche e ciò dovrebbe interessare tutti gli aspetti relativi al mondo degli appalti, con una rinnovata regolamentazione del c.d. terzo settore, da un ventennio considerato una specie di sottogruppo imprenditoriale ma che di fatto, opera con medesimi obiettivi e fare competitivo tipici dell’imprenditoria privata tout court. Un danno di immagine al paese Italia che rischia di incancrenirsi screditando anche le ultime realtà imprenditoriali rimaste costruite sull’impegno, spirito di gruppo, sull’onestà del bilancio sociale. Chi vigila oggi sulla credibilità dei c.d faccendieri, seppur nella forzata considerazione della loro lecita figura professionale? Chi controlla i risultati raggiunti da un’azienda privata collegata, anche a livello decentrato, con lo stato? Chi risarcisce in ultimo i cittadini, quando lo stato non ha ben operato secondo l’art. 97 della Costruzione? Non sembra, forse, che la stessa magistratura abbia in partenza le mani legate a causa di leggi poco adatte ai casi e al contesto politico in corso?