Sessanta miliardi al mese fino a settembre 2016, un’abile mediazione con la renitente Bundesbank, da sempre scettica nei confronti dell’attuazione del “Quantitative easing” per paura che questo processo di aiuto ai paesi più in difficoltà possa rallentare il corso delle riforme avviate, l’80 per cento dei rischi in caso di perdite nell’acquisto dei titoli di Stato affibbiato alle banche centrali nazionali e la speranza che questa mossa possa aiutare l’economia europea a riprendersi, a uscire dalla deflazione e, al contempo, favorire le erogazioni di prestiti a famiglie e imprese, onde evitare che la crisi si avviti su se stessa, in una spirale di disperazione, sconforto e tracollo del tessuto sociale dal quale sarebbe molto difficile riprendersi.
Draghi superstar ieri a Francoforte, con buona pace di chi si ostina a credere, e a far credere alla gente, che il governatore della BCE non sia un politico a tutti gli effetti: attualmente, forse, il miglior politico in circolazione nell’eurozona. Intendiamoci: Draghi non è certo un uomo di sinistra, non è certo estraneo ai dogmi del liberismo imperanti da trent’anni e responsabili, a nostro giudizio, del collasso socio-economico del modello occidentale, non è certo un nemico della Troika, anzi ne è parte, e non è affatto così distante dal rigorismo del duo Merkel-Weidmann come continuano a ripetere alcuni mezzi d’informazione di casa nostra, con il duplice scopo di esibire il santino ed esorcizzare lo spettro del baratro definitivo. Tuttavia, sa fare il suo mestiere e ieri ne ha dato prova ancora una volta, così com’era avvenuto nel luglio del 2012, quando l’Europa e l’euro sembravano sul punto di chiudere i battenti e Draghi, a Londra, disse chiaramente che la BCE avrebbe fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per rendere irreversibile il percorso della moneta unica.
Ha chiesto in cambio riforme, certo: riforme dure e impopolari che ci vedono, in gran parte, in disaccordo perché, ripetiamo, il soggetto in questione è comunque una delle vestali dell’ortodossia dominante, ben lontano dall’ammettere che è proprio la direzione in cui stiamo andando da trent’anni a rendere impossibile qualunque prospettiva di crescita e di sviluppo e a rendere sempre più marginale e ininfluente il Vecchio Continente. Ha, però, anche parlato espressamente di investimenti (e non è certo la prima volta) ed esortato la Commissione europea e i singoli stati a fare di più, ben cosciente del fatto che nessuna economia potrà mai riprendersi se i giovani non trovano lavoro e si scoraggiano, chi ha un lavoro precario vive nel terrore di perderlo, chi avrebbe qualche piccola risorsa per rilanciare i consumi sta ben attento a tenersela nel cassetto per via dell’incertezza che grava sulle nostre teste e i governi continuano ad assistere inerti a questo disastro.
Draghi è un politico che sa il fatto suo, sa governare l’economia e, nei limiti del suo mandato, ha fatto davvero tutto il possibile, raggiungendo delle mediazioni accettabili con i non certo malleabili partner internazionali e rivolgendo concretamente lo sguardo ai paesi stremati del sud Europa, combattendo con vigore non tanto con le dottrine economiche quanto con la visione umana e sociale dei falchi del nord, secondo i quali, in base al principio tedesco per cui debito e colpa si scrivono allo stesso modo, i più deboli devono essere abbandonati a se stessi e, se necessario, espulsi dall’eurozona o, comunque, obbligati a espiare fino in fondo le proprie colpe e a pagare i propri debiti fino all’ultimo centesimo. E pazienza se, nel dopoguerra, la Germania poté riprendersi proprio grazie a un radicale cambiamento della visione socio-economica rispetto a quella dominante al termine del primo conflitto mondiale; pazienza se invece di conoscere la tragedia di Weimar e la barbarie del nazismo, grazie a quell’inversione di rotta, ebbe la fortuna di essere governata da figure come Adenauer e Brandt; pazienza se fu proprio la Grecia a battersi affinché fosse abbonata ai tedeschi una cospicua parte del proprio macroscopico debito pubblico; pazienza se in quegli anni l’Europa si affermò come patria delle opportunità, delle libertà e dei valori morali che le hanno garantito sette decenni di pace; pazienza, perché per i cultori del liberismo “la società non esiste: esistono solo gli individui” e chi è più fragile deve scontare il suo peccato originale e non ostacolare il cammino trionfale dei più forti e benestanti.
Con queste idee dalla crisi non ne usciremo mai ma a lorsignori non importa minimamente: la crisi c’è, è drammatica ma sanno benissimo che colpirà sempre gli altri, mica loro, dunque avanti con l’inganno della meritocrazia a scapito della solidarietà sociale, con il massacro su stipendi e pensioni, con i tagli al welfare e alla sanità, con la devastazione della scuola e dell’università pubblica e viva il privato, gli accordi commerciali transatlantici all’oscuro dei popoli, l’arricchimento smodato dell’un per cento a scapito del novantanove per cento delle persone, l’assurda illusione dello sgocciolamento salvifico e altre fesserie che denotano non solo una profonda ignoranza dal punto di vista economico ma anche un’intollerabile malvagità d’animo che è la negazione stessa dell’Europa di Voltaire, degli utopisti di Ventotene e di quella perfetta miscela di illuminismo e romanticismo che costituisce la base culturale della nostra identità.
Il guaio è che oggi, checché ne dicano in molti, Draghi è l’unico, vero politico in un panorama desolante di quaquaraquà, capaci unicamente di eseguire la volontà altrui, privi di qualunque visione del mondo che vada al di là della contingenza, privi di qualunque valore che non sia quello del Dio denaro, ipocriti al punto di arrivare ad elogiare continuamente papa Francesco pur detestandolo, in quanto, con le sue denunce puntuali e inappuntabili, mette in risalto la loro miseria morale e culturale, e spregiudicati quanto basta per procedere come treni, incuranti del costante calo dell’affluenza alle urne e anzi ben contenti che a esprimersi sia rimasta ormai una ristretta élite, per lo più assoggettata ai dogmi e alle tendenze di cui prima. Al che, vien da dire con amarezza che la mossa di Draghi, per quanto utile e sacrosanta, rischia, per assurdo, di rivelarsi dannosa, dando così ragione ai super-falchi della Bundesbank: per produrre effetti benefici, infatti, dovrebbe essere compresa e assecondata da classi dirigenti all’altezza; al contrario, abbiamo il fondato timore che i suddetti quaquaraquà si siederanno sugli allori e correranno a raccontare alle opinioni pubbliche dei rispettivi paesi che “tutto va ben madama la marchesa”, che Draghi ha risolto la crisi e che, nel giro di pochi mesi, economie antiquate, prive di investimenti e condannate al declino da una clamorosa mancanza di capitale umano su cui investire torneranno, come per magia, a fare faville.
Gli ultimi fuochi prima del diluvio.